La disfatta dell’amore ai tempi di Waterloo
All'Abeliano 'Namur' di Teresa Ludovico
La storia, il destino, la voglia di rivalsa e la rassegnazione. Questi sono alcuni dei temi ricorrenti nella drammaturgia di Antonio Tarantino, e marcatamente presenti in un suo testo, Namur (1998), messo in scena da Teresa Ludovico senza negargli l’essenzialità e la ferocia che lo contraddistingue. Lo spettacolo, finalista al Premio Ubu 2014 come migliore novità, parte da un microcosmo (la coppia), lo scandaglia in tutti i suoi punti deboli, per poi manovrarlo come pretesto per aprire a uno scenario più grande: la guerra, con tutta la sua incessante e consueta assurdità.
Il pubblico del Teatro Abeliano è accolto da una nebbia di pulviscolo. Sulla scena c’è solo una panca circondata dalla paglia. Interviene subito una voce off a illustrare gli antefatti: siamo nell’estate del 1815, e Napoleone Bonaparte subisce la sua sconfitta definitiva. Il 19 giugno, il giorno dopo la disfatta di Waterloo, l’ormai prossimo ex Imperatore fugge verso Parigi. Intanto, a Namur, città belga dilaniata dalla guerra e percorsa dalla soldataglia inglese e prussiana in cerca di nemici, trovano rifugio i due protagonisti della pièce, lentamente illuminati nell’incipit dalle splendide luci disegnate da Vincent Longuemare.
Lei, Marta (Teresa Ludovico), è una vivandiera imperiale ormai avanti con gli anni. Lui, Lucien (Roberto Corradino), è un giovane soldato francese che sta combattendo una guerra che non gli appartiene. Le cupe e inquietanti ombre della guerra li hanno spinti a fare l’amore, ma l’atto sessuale ha per i due valori diversi: se nella donna risveglia l’appannato sentimento di amore, nel soldato è solo un gesto istintivo per soddisfare un bisogno primordiale o per cercare protezione. Di qui il lungo rincorrersi tra odio e tenerezza, tra passato e presente attraverso cui si delineano le finalità dei personaggi: il desiderio di essere ricambiata per l’una, e la speranza di salvare la propria pellaccia per l’altro.
I due flussi esistenziali percorrono binari paralleli, trovando un punto d’accordo solo nella contemplazione dell’oscurità, della fatalità, del triste e incombente destino, dal quale proprio non si riesce a trovare una via d’uscita. In una fisicità quasi ossessiva, dove la parola volutamente bassa trova piena espressione nelle performance attoriali fatte di serrati botta e risposta, due esistenze apparentemente lontane si scoprono insospettabilmente vicine e complementari in un tenero e allo stesso tempo cruento epilogo.
Il finale, infatti, lascia l’amaro in bocca e qualche dubbio. Chi ha realmente trionfato? Forse Marta ha definitivamente convinto Lucien grazie alla sua ostinazione; ma è altresì probabile che la rassegnazione dell’imberbe fantaccino abbia offuscato la sua mente nel momento decisivo. Sta di fatto che una forma d’amore sboccia realmente, ma, come spesso accade, si presenta con un conto salatissimo da pagare. In questo caso, la vita di entrambi.
Letture consigliate:
Abramo, il bivio della fede Teresa Ludovico, di Nicola Delnero
Ascolto consigliato
Teatro Abeliano, Bari – 7 novembre 2015