Vogliamo tutto!
Come è stata Artissima 2016 a Torino
Si è da poco chiusa la ventitreesima edizione di Artissima, la fiera internazionale d’arte contemporanea, diretta da Sarah Cosulich (ormai per il quinto anno alla guida della fiera) che ogni anno attira a Torino collezionisti ed esperti provenienti da tutto il mondo. Durante le quattro giornate di apertura, dal 3 al 6 novembre, Artissima è stata la meta di circa 50.000 visitatori che, entrati all’interno dell’Oval di Torino, si sono ritrovati al cospetto di oltre 2000 opere di arte contemporanea, presentate da 193 gallerie (di cui 126 straniere).
Accoglie i visitatori l’installazione neon concettuale di Alfredo Jaar Vogliamo tutto!, messaggio significativo all’ingresso di una fiera d’arte visitata da numerosi ipotetici acquirenti, posto sulla parete esterna della Galleria Lia Rumma (Milano), la quale stupisce anche per i disegni preparatori, effettuati da Kentridge su fogli contabili, per il fregio Triumphs & Laments del 2016 (una processione di sagome che oggi orna il lungotevere). Il neon, una costante soprattutto negli stand delle gallerie italiane, è usato anche dall’artista statunitense Mark Handforth, sempre in bilico tra la Pop Art e il Minimal, tra forme organiche e geometriche, tra astrazione e simbolo, che chiude con successo lo scorso settembre una personale presso Villa Croce a Genova e che Franco Noero (Torino) porta ad Artissima insieme alla emblematica Conservation Piece di Kirsten Pieroth: ciascuno dei barattoli posti su una mensola nello stand contiene l’acqua di bollitura di un numero del New York Times (la cui data è diligentemente trascritta sull’etichetta); simbolico e ardito l’esperimento dell’artista che sigilla in un barattolo gli avvenimenti di una giornata intera, trasformando così un banale oggetto quotidiano in un contenitore prezioso e creando un ideale archivio storico.
Se la Galleria Thomas Brambilla (Bergamo) propone un ipnotico Erik Saglia, la Galleria Tega (Milano) punta invece sull’attrazione stimolata dal colore, in uno stand in cui le opere geometrizzanti e astratte di Piero Dorazio accompagnano le lucide cascate dell’ormai noto Ian Davenport: linee di colore che scendono individualmente sulla tela fino a mescolarsi e sfidare quasi la bidimensionalità del supporto. Sbiadiscono in confronto le linee opache di Giorgio Griffa presentato da Mazzoleni (Torino, Londra) e da Lorcan O’Neill (Roma), che sulla fine degli anni Sessanta pone le basi del suo linguaggio pittorico: la tela grezza (iuta, canapa, cotone o lino) senza cornice, viene disposta sul pavimento ad assorbire il colore. Lorcan O’Neill espone anche due opere di Pietro Ruffo, un giovane architetto romano capace di modellare la carta e di usare il disegno per comporre opere tridimensionali di grande sensibilità .
Se l’Arte Povera invade lo spazio italianissimo della Galleria de’ Foscherari (Bologna) con Zorio, Parmiggiani e Calzolari, la parola e la scrittura diventano protagoniste nelle opere di Irma Blank alla P420 (Bologna), in quelle di Greta Schödl esposte da Richard Saltoun (Londra) e nelle cellulose di Sabrina Mezzaqui, portata ad Artissima sia dalla Galleria Continua (San Gimignano, Beijing, Les Moulins, Habana) che da Massimo Minini (Brescia), il quale espone dell’artista anche l’opera Che tu sia per me il coltello, un libro fatto di filamenti metallici a cui viene dato il titolo del celebre romanzo di David Grossman e che ben si colloca accanto ai fili coloratissimi, spesso racchiusi in bozzoli, di Sheila Hicks. Come le parole su una pagina o le note su un pentagramma, così si muovono armoniosamente nello spazio gli elementi geometrici delle composizioni di Matthias Bitzer, in mostra fino al 5 novembre nelle sale della Galleria Francesca Minini (Milano), che lo conduce anche ad Artissima.
Non mancano in fiera opere satiriche, talvolta con espliciti riferimenti alla sfera sessuale, talvolta con intenti critici inerenti la società attuale: recentissima, l’opera Mango dell’artista cinese Liu Ding presentata da Primo Marella (Milano), in cui il frutto emblema della società orientale si affianca a quello che l’artista riconosce come il simbolo americano: un bicchiere Starbucks. Andreas Burger della Loom Gallery (Milano) propone invece un’opera scultorea composta da venti busti raffiguranti un medesimo individuo che scompare gradualmente tramite un processo creativo inverso al levare di Michelangelo, ottenuto aggiungendo materia sulla scultura che ritorna così al blocco di gesso di partenza: una sorta di parabola della massificazione contemporanea che contribuisce alla spersonalizzazione dell’individuo.
Si è detto che Artissima 2016 abbandona gli anni Sessanta per dare spazio agli anni Settanta e Ottanta: sotto il segno dell’innovazione e dell’internazionalità, Artissima 2016, si presenta al pubblico suddivisa in sette sezioni: oltre alla sezione principale, riservata alle gallerie consolidate, Back to the future è dedicata infatti agli anni dal 1970 al 1989. L’arte attuale invade invece le sezioni Present Future, New Entries e Dialogue, dedicate alle gallerie e agli artisti emergenti o per la prima volta ad Artissima, mentre Art Editions riunisce le gallerie specializzate in edizioni e multipli d’artista e Per4m accoglie esclusivamente l’arte performativa.