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Vivere insieme: famiglia, comunità, patria a Venezia 74

In ogni edizione i film della Mostra tracciano come sismografi l’andamento del tempo presente

Il 9 Settembre del 2009 George Romero presentava alla Mostra del Cinema di Venezia quello che sarebbe stato il suo ultimo film. Si intitolava Survival of The Dead (in Italia L’isola dei sopravvissuti), era il capitolo conclusivo della grande saga degli zombi e, in uno slancio di ironia visionaria, ci sembrò una perfetta rappresentazione dello scenario che ogni anno, tra la fine di Agosto e i primi di Settembre, sconvolge la placida vita del Lido di Venezia. Una tranquilla località di villeggiatura per dieci giorni all’anno invasa da una comunità di “cinefagi”, isolata due volte: fisicamente, nel lembo di terra ritagliato dal mare, e mentalmente, assorbita da un flusso ininterrotto di audiovisioni. Una bolla per un paio di settimane quasi del tutto impermeabile alle sollecitazioni esterne, ma che dall’esterno assorbe il clima e ne sublima gli effetti. Un incubatore che in piccolo riproduce, come ogni spazio di società più esteso, dinamiche interne di divisione, conflitto e pacificazione. Basti leggere le reazioni, spesso rabbiose, che puntuali accompagnano ogni anno le scelte del palmarés.

Survival of the Dead - L'isola dei sopravvissuti, George A. Romero, 2009

Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti, George A. Romero, 2009

Dall’altra parte della quarta parete, dentro lo schermo, in ogni edizione i film della Mostra tracciano come sismografi l’andamento del tempo presente. Illustrandone criticità e punti di rottura, e spesso provando a disegnare possibili vie di fuga. Quale idea di società emerge dai film di Venezia74? La panoramica non è delle più confortanti. Soprattutto se si comincia a scandagliare dall’interno delle mura domestiche. Siamo davvero molto oltre la vecchia idea di famiglia disfunzionale: padri assenti (Lean on Pete), che mandano i figli a combattere guerre assurde (Foxtrot), che sono disposti a dimenticare il male da loro subito (Angels Wear White), che addirittura li ucciderebbero per intascare i soldi di un’assicurazione (Suburbicon) o che con brutale violenza rifiutano l’implosione dell’unità familiare (Jusq’a la Garde). Non va meglio alle generazioni precedenti, costrette alla resa, come in The Leisure Seeker di Paolo Virzì e La villa di Guédiguian, da un presente insensibile al loro vissuto, rispetto al quale si scoprono del tutto estranee. Una speranza è riposta soltanto nelle madri. In due tra i film più discussi del concorso, Una famiglia e Mother!, a loro è affidato il difficile compito di rigenerare tutto quello che gli uomini hanno saputo distruggere con le loro mani.

Foxtrot, Samuel Maoz, 2017

Foxtrot, Samuel Maoz, 2017

Le cose non migliorano se lo sguardo si allarga alla osservazione di comunità più ampie. L’Australia del 1929 nel bellissimo Sweet Country è lo specchio di un oggi ancora profondamente segnato dall’odio razziale, e percorso da flussi migratori che ridisegnano la morfologia dei nostri orizzonti (Human Flow). La preoccupazione per un pianeta terra sempre più in scacco del riscaldamento globale e violentato dall’uomo ha poi attraversato molti film. Una facile via di fuga da questi scenari apocalittici è il rifugio dentro comunità chiuse artificiali: la LeisureLand dei rimpiccioliti in Downsizing, il gruppo di catechesi Abundant Life di First Reformed o il sobborgo razzista in Suburbicon. Ognuna di queste comunità-rifugio tuttavia si rivela una gabbia dorata, una trappola per élite in cui ipocrisie e varie forme di intolleranza la fanno, con ancora maggiore virulenza, da padrone. Tanto da spingere il prete bressoniano del film di Paul Schrader, uno degli eroi di Venezia 74, verso l’engagement più radicale ed estremo, unico atto concepibile di palingenesi per una società corrotta nelle sue fondamenta.

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First Reformed, Paul Schrader, 2017

Uno scenario a dir poco fosco. Che non lascerebbe nessuno spazio alla speranza se non si avesse la fortuna di gettare lo sguardo nella giusta direzione. È attraverso il ripensamento profondo dei rapporti umani e dei legami tra diversi che il cinema di Venezia 74 disegna la prospettiva di una guarigione collettiva. Non si può non scoprire in una grande madre, la Frances McDormand di Three Billboards Outside Ebbing, Missouri, il catalizzatore di un processo virtuoso di nuova umanizzazione che coinvolge la comunità di un intero paese. O leggere nella Hannah di Andrea Pallaoro il simbolo di un riscatto in extremis ma che è già oltre la speranza. O, ancora, riconoscere nel muto vendicatore di The Third Murder il collante per legami tra individui soli, che hanno bisogno l’uno dell’altro. Ed è proprio in due luoghi chiave dello stare insieme che questo viaggio verso il sogno/desiderio/utopia di un futuro diverso trova il suo approdo ideale. Il primo è la New York Public Library di Frederick Wiseman, avamposto di civiltà e di inclusione sociale nel tentacolare reticolo metropolitano della Grande Mela. Il secondo è il cinema che accoglie il miracolo dell’abbraccio tra la Bella e la Bestia in The Shape of Water di Guillermo Del Toro. Potremo non sapere in che direzione stiamo andando, ma di certo sappiamo da dove (ri)partire.

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