Vivarium
Jesse Eisenberg e Imogen Poots in un incubo suburbano tra Magritte e Twilight Zone.
Presentato alla Settimana Internazionale della critica durante la 72ª edizione del Festival di Cannes, Vivarium è il secondo lungometraggio di Lorcan Finnegan, che aveva esordito nel 2016 con Without Name. Imogen Poots e Jesse Eisenberg tornano per la terza volta assieme sul grande schermo – dopo Solitary Man (2009) e L’arte della difesa personale (2019) – in questa pellicola che raccoglie tutte le suggestioni dell’horror suburbano (La donna perfetta, The Box, etc.) senza scadere in un catalogo di omaggi postmoderno. Gemma e Tom sono una giovane coppia di belle speranze in cerca di una casa tutta per loro dove poter dar vita alla propria famiglia cuore. Quando si imbattono in Martin, un inquietante agente immobiliare interpretato da Jonathan Aris (qui con le fattezze di Carson Kressley), il loro sogno sembra a portata di mano: non troppo vicino, non troppo lontano. Tutto, ovviamente, lascia presagire che qualcosa non va, ma la coppia abbocca senza troppa fatica. Cosa potrà mai andar male?
L’uomo li porta a visitare la casa perfetta, in un labirintico complesso residenziale che riprenda l’ambientazione (e l’ossessione quindi) di un vecchio corto del regista, Foxes (2011). I due protagonisti però, prima con stupore e poi con angoscia, scoprono – una volta lasciati soli – di non riuscire a lasciare più quel luogo così artificioso e silenzioso. Guidano per ore tra schiere di villette tutte uguali, in strade tutte uguali: si ritrovano sempre allo stesso punto, al civico n° 9. Le abitazioni si estendono fino all’orizzonte, nel cielo le nuvole sembrano appesa a fili di nylon. La benzina finisce, sono costretti a rimanere. A cadenza regolare, dei pacchi vengono lasciati fuori da quella che ormai sembra destinata a essere la loro nuova casa: beni di prima necessità, cibo senza sapore… Un bambino. Impossibile avvistare chi fa le consegne. Col neonato un biglietto: “Raise the child and be released”. Le cose vanno di male in peggio.
Vivarium copre un range di suggestioni abbastanza ampio che va da The Twilight Zone ai Duplass Brothers, passando per Cronenberg e Tim Burton. Lorcan Finnegan realizza un incubo magrittiano dove le case sono verde mele e le nuvole hanno forma di nuvole, una favola nera in cui il sogno di una casa si trasforma in un dramma allucinante, micidiale. I film metafora solitamente tendono ad avere il fiato corto, soprattutto nel cinema contemporaneo (The Hole Netflix, per esempio, ma anche il più blasonato US di Jordan Peele), con Vivarium invece il regista riesce a mantenere il giusto equilibrio per realizzare un cinema – pur senza guizzi geniali – che funziona al di là della lezione sulla natura matrigna e sulle trappole del consumismo. Il titolo e la storiella sul cuculo in apertura ci danno già tutte le coordinate necessarie per capire dove andremo a finire, senza il bisogno di disseminare la storia di indizi ridondanti e sequenze didascaliche, in questo modo il film ci guadagna in coerenza e tensione. La vita perfetta è un modello o una trappola? La genitorialità è una ricompensa o una maledizione? Una critica sociale non nuova, ma illustrata con la giusta suggestione.