Verso un teatro responsabile secondo Valdoca
I Giuramenti di Gualtieri e Ronconi contro la tepidezza del presente
Il giuramento, tra le altre voci della Treccani, è una
forma più solenne di affermare e promettere, che impegna la propria coscienza sia di fronte a un’autorità o ad altre persone, sia anche solo di fronte a sé stessi.
A prima vista, sembra una parola un po’ desueta: in tempi di precarietà è difficile giurare. Il giuramento implica una responsabilità, quella di rimanere fedeli o tradire irrimediabilmente; ma forse in questo momento preferiamo rimanere nell’agio dell’indeterminatezza anziché assumerci l’onere del rischio.
Ecco che allora nessuno giura più: i governi si guardano bene dal promettere un futuro alle nuove generazioni, i datori di lavoro non promettono un contratto a lungo termine, persino nelle relazioni non si promette – nell’era di Tinder – più di una conoscenza effimera. Tutto è incerto, mutevole, aleatorio. Se c’è scollamento fra corpo e anima, fra civiltà e natura, fra reale e virtuale, come possiamo permetterci di promettere?
Se c’è un luogo in cui è anche solo possibile immaginare ancora un cambiamento, questo è proprio il teatro. Giuramenti, il nuovo spettacolo di Teatro Valdoca, tenta infatti un coraggioso passo controcorrente scagliandosi contro la tepidezza e la rassegnazione del presente, a cominciare dal rosso fuoco che domina la scena e da chi quel fuoco metaforico lo detiene per anagrafe: i giovani.
Sono i corpi, i volti e le voci dei dodici perfomer – tutti provenienti da diversi percorsi ed esperienze che la regia di Cesare Ronconi riesce sensibilmente a mettere in risalto – i quali con ardore, entusiasmo e sorprendente preparazione grideranno a un mondo apatico e arrendevole i versi di Mariangela Gualtieri, che sembrano a ciascun corpo e a ciascuna indole cuciti addosso.
Tornare al proprio «fuoco centrale»: recuperare quella promessa fatta a sé stessi, qualunque essa sia, per essere centrati nel proprio corpo, nei propri pensieri, nei propri desiderî. E ancora coltivare relazioni reali, dire di no, stare all’erta, ricominciare a parlare d’amore con un’ingenuità disarmante.
È una rivoluzione della semplicità quella propugnata dai versi di Gualtieri – che partono da parole conosciute per approdare a nuove, in forma perlopiù di invettiva gridata, a volte un po’ dispersive e frammentate per riuscire ad articolare un discorso più complesso sulla contemporaneità – la cui realizzazione fattiva è affidata tuttavia a una forma che niente ha a che fare con l’aderenza alla realtà: è la poetica (storica) del Teatro Valdoca, che rinuncia alla narrazione e alla psicologia per tornare al potere primigenio della parola e del rito teatrale.
Non è un caso che la genesi dello spettacolo germina da una residenza di tre mesi a L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, nel silenzio dei boschi, nella condivisione di una vita più appartata, così da riscoprirsi non più personaggi ma esseri umani a contatto con l’altro e con la parola, con il sentirsi parte di un tutto più grande di cui l’uomo non è che un piccolo tassello. E certo a vederli, all’inizio, seduti in cerchio a intonare dei canti, con uno studio che molto deve al lavoro di Grotowski e Thomas Richards, sembra davvero di immergersi in un’altra dimensione felicemente extra-quotidiana.
Sulla scena del Teatro Vascello, pochi oggetti disegnano uno spazio dall’aspetto arcaico e minimale. Questa comunità selvaggia e indomabile di attori-performer si misurerà ora con la parola, in forma di monologhi o di coro, ora con la danza, ora con la percussione di strumenti, formando un’unica entità fatta di voce e corpi in movimento – corpi che pulsano di dolore o di gioia, corpi oltraggiati o feriti, ribelli o innamorati che ora si muovono assieme come uno stormo o in assoli, spingono un carro, zoppicano, corrono – in un susseguirsi di quadri che, seppur nell’indubbia padronanza tecnica ed espressiva dei giovani interpreti, sono ancora ancorati a un’impostazione troppo laboratoriale per fondersi organicamente in uno spettacolo compiuto che possa reggersi su un’impalcatura drammaturgica più solida e credibile.
Così, in scena mai nessun giuramento viene pronunciato, eppure se ne recupera la dimensione sacrale e rituale che appartiene di diritto anche al teatro.
Giuramenti rispecchia quindi il percorso trentennale della storica compagnia romagnola: uno spettacolo in cui ogni elemento – fruscio, movimento, maschera o parola – ha un suo valore drammaturgico misterico e inafferrabile che va a comporre una polifonia di senso, un’apparizione di luce o di tenebre. Se da un lato rischia di cristallizzarsi in forme già esplorate dalla compagnia, dall’altro i versi di Mariangela Gualtieri sono inediti e rivolti al presente: il giuramento è riprendersi la responsabilità di vivere il proprio tempo, ché la giovinezza non finisce ma accade ogniqualvolta non ci arrendiamo.
Ascolto consigliato
Teatro Vascello, Roma – 22 marzo 2018
GIURAMENTI
regia, scene e luci Cesare Ronconi
testi Mariangela Gualtieri
drammaturgia del corpo Lucia Palladino
con Arianna Aragno, Elena Bastogi, Silvia Curreli, Elena Griggio, Rossella Guidotti, Lucia Palladino, Alessandro Percuoco, Ondina Quadri, Piero Ramella, Marcus Richter, Gianfranco Scisci, Stefania Ventura
cura e ufficio stampa Lorella Barlaam
guida del canto Elena Griggio
costumi Cristiana Suriani
proiezioni Ana Shametaj
costruzioni in legno Maurizio Bertoni
scultura in ferro Francesco Bocchini
produzione Teatro Valdoca
con la collaborazione di L’arboreto-Teatro Dimora di Mondaino, Teatro Petrella di Longiano
con il contributo di Regione Emilia-Romagna, Comune di Cesena, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna