L’ambiguo gioco di potere e sottomissione
Valter Malosti porta in scena Venere in Pelliccia di David Ives
È una fredda mattina del 1895 in Germania, quando Aurora von Rümelin entra nella sua camera da letto e trova il marito disteso sul tappeto che si rotola per terra, fa le fusa, miagola: crede di essere un gatto. Per la donna questo è la conferma di quello che aveva sempre sospettato: l’uomo che ha sposato è pazzo. Lo farà internare nel manicomio di Mannheim, dove un anno dopo morirà. Ma il suo nome non verrà dimenticato, anzi diventerà una nuova parola. L’uomo in questione è lo scrittore tedesco Leopold von Sacher-Masoch, il padre del masochismo.
Magro, sempre vestito di nero, con il viso pallido ma il fascino misterioso dell’artista: così Aurora lo descrive nel suo diario, poi diventato un romanzo dal titolo Le mie confessioni. Di segreti sul suo matrimonio con Leopold, la donna ne ha molti da scrivere; dietro la loro unione borghese si nasconde un rapporto stabilito da un contratto – firmato da entrambi i coniugi – dove si afferma che la donna deve essere la padrona e l’uomo lo schiavo pronto a tutto per soddisfare le voglie della sua signora.
Così come nella vita reale, anche nei suoi romanzi Sacher-Masoch inventa storie di dominio e sottomissione, con protagoniste donne, padrone armate di frustini di fasci di betulle pronte a sculacciare i propri amanti. Il suo romanzo più famoso è Venere in pelliccia, dove la moglie Aurora diventa Wanda von Dunajew, la bella e giovane vedova, spietata dominatrice di uomini.
Trasformare questo romanzo in una pièce teatrale non è un lavoro semplice, ne sa qualcosa il commediografo americano David Ives, che ha tentato l’impresa fallendo. Ma da questo fallimento è nato un grande successo, un adattamento tragicomico del romanzo con due personaggi, un regista teatrale che sta cercando un’attrice per mettere in scena proprio Venere in pelliccia e Vanda Jordan pronta a tutto per avere la parte. Tra attrice e regista inizia così un rapporto di potere e sottomissione che va di pari passo con le vicende del romanzo. La commedia vincente, da cui Roman Polansky ha tratto un film, è stata messa in scena per la prima volta in Italia da Valter Malosti (che ne ha curato anche la regia) e da Sabrina Impacciatore al Teatro Ambra Jovinelli.
Sboccata, rude e con pochi pudori, Vanda Jordan compare in una sera di pioggia davanti a Valter Malosti che ha appena terminato senza successo le audizioni per cercare la protagonista di Venere in Pelliccia. Iniziano in questa maniera i dialoghi e le battute comiche incentrate sulla contrapposizione intellettuale/donna della borgata romana in cerca di sbarcare il lunario. Il regista affermato e rispettato che vuole plasmare la sua attrice, però, cade nella trappola tesa dall’esuberante Vanda e improvvisamente si ritrova a essere schiavo di un’identità femminile archetipo di vita ma anche di morte. Una figura ancestrale che attraversa la notte dei tempi e arriva in tacchi e minigonna nel 2017, senza però aver dimenticato il suo potere. Vanda si trasforma, cambia, diventa vittima poi carnefice e infine si trasforma in una sorta di strega pronta a vendicare tutto il genere femminile. Con la sua determinazione e il suo fascino destabilizza il potere, confonde la logica e insinua atroci dubbi. Bella come una Venere e curiosa come Pandora appartiene a una mitologia primitiva ma ancora presente.
Questo spirito ancestrale, quasi demoniaco, durante la messa in scena si perde a favore di una comicità studiata per accontentare il pubblico, forse ancora impaurito da un romanzo scomodo nell’800 e anche adesso, scritto da un genio folle che ha avuto la lungimiranza di indagare il rapporto che più rappresenta l’uomo: quello tra il potere e chi ne è vittima, per poi morire credendo di essere un gatto.
Ascolto consigliato
Teatro Ambra Jovinelli, Roma – 26 gennaio 2017
In apertura: Foto ©Fabio Lovino