Una giovinezza enormemente giovane – Calenda

Una Giovinezza Enormemente Giovane – Antonio Calenda

La morte, in fondo, è un ripensarsi, un ricollezionare a posteriori i momenti della propria vita, per trovare un senso a quei giorni, scolpiti nella loro perfetta – poiché inesorabile – immutabilità.
In Una giovinezza enormemente giovane è questa l’operazione compiuta dal regista Antonio Calenda, uno spettacolo che si inserisce nel ventaglio d’iniziative di “Roma per Pasolini”, promosso in ricordo dell’intellettuale, scomparso ormai trentanove anni fa.

Roberto Herlitzka è un Pasolini che si specchia nel proprio corpo senza vita, disteso sul proscenio, dove una recinzione metallica e alcuni barili ricostruiscono simbolicamente la scena del delitto all’Idroscalo di Ostia. Ricordando e interrogandosi, il protagonista racconta la sua storia fino al misterioso epilogo. A quella personale accompagna, attraverso le immagini proiettate sul fondale, la storia e le metamorfosi della Roma di borgata e, più in generale, della società italiana dopo gli anni ’50, di quel progresso la cui illusione di benessere per molti è stata aspirazione a un sogno piccolo borghese. “Petrolio” è la parola di un articolo del Corriere che illumina d’improvviso il suo pensiero. Petrolio è causa ed effetto di quel fenomeno di trasformazione che ha condotto alla strage delle culture, al passaggio dall’amoralità malandrina e vitale delle bande di quartiere all’ “immoralità” radicata nell’insoddisfazione e nell’omologazione della società dei consumi, assurta a nuova dittatura fascista.

Ispirato alle poesie e alle opere di Pier Paolo Pasolini, il montaggio dei testi, a opera di Gianni Borgna, riesce nell’ardita sintesi di un pensiero caleidoscopico, in cui i piani narrativi si intrecciano, come intrecciati sono i fili della storia individuale e della storia condivisa che, pur nel loro groviglio e nel loro svolgersi non necessariamente diacronico sulla scena, non rinunciano all’idea di coerenza.

Contrariamente a quanto si immagini, non c’è retorica nel racconto e il merito è della voce di un misurato Herlitzka, poeta riscopertosi Narciso, con “i colori della sera, quando le campane suonano a morto”, traghettatore e traghettato, sceso all’inferno prima che il regno dei dannati risalisse la superficie.

Eppure in quell’ora trascorsa all’Argentina, il proliferare di letture come lo sfilare delle immagini sembra a tratti attestare lo spettacolo su di una soglia non più rievocativa quanto “informativa”, che, sebbene smussata nella forma lirica del pensiero pasoliniano, diviene rischio e limite per chiunque si inerpichi nell’impresa di ritrarre un mito nella sua epoca d’appartenenza.

A fronte di questo e delle numerose opere commemorative che, a cadenza decennale, ricorrono a ricordo di maestri di vita, una domanda si insinua allora come un tarlo nella mente: costituisce davvero l’affresco fotografico della loro storia l’omaggio migliore che possiamo offrire in loro memoria? O meglio, si riesce davvero a restituire in tal modo quella “giovinezza enormemente giovane”, quell’inafferrabile e irripetibile afflato d’entusiasmo e di vita che, anche solo per la durata di un istante, è stato loro lascito e nostra eredità?

Teatro Argentina, Roma – 6 novembre 2014

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