Un teatro lontano Anni Luce
I futuri possibili della nuova scena a RomaEuropa
Where are we now?
Il titolo di RomaEuropa, quest’anno, è una domanda: una domanda a cui, implicitamente, tutte le arti sceniche cercano non tanto di rispondere ma di problematizzare attraverso la creazione artistica. Agli artisti coinvolti si chiede quindi di tracciare una possibile mappa del presente per individuare nodi, preoccupazioni e contraddizioni della contemporaneità; la novità, però, è che quest’anno il festival non si rivolge soltanto agli artisti più rinomati della scena europea ma anche a quelli non più emergenti e neanche affermati in modo consolidato – quindi in una delicata fase di passaggio – che trovano uno spazio di riconoscimento e confronto nell’osservatorio Anni luce, curato da Maura Teofili (anima, insieme a Francesco Montagna, delle virtuose Carrozzerie N.O.T).
Pertanto, come rispondono Azzurra De Gregorio, Giuliano Scarpinato, Industria Indipendente e Collettivo SCHLAB a questa domanda? Dove siamo, ora?
Con Azzurra De Gregorio in realtà si ritorna a una dimensione ancestrale per indagare la figura della madre, sineddoche della donna, intesa come radicamento alle proprie origini da cui l’uomo si stacca ma a cui pur sempre ritorna. Cinque performer (Giulio Maroncelli, Loredana Canditone, Vera Borghini, Lucia Carrano, Eva Sabelli) daranno vita così alle varie declinazioni della donna: madre, amante e infine moglie, attraverso un linguaggio scenico che si avvale meno della parola e più del movimento e della costruzione visiva di quadri. Si inizia così dalla nascita: luci e suoni a intermittenza illuminano un triangolo bianco al centro del palco da cui sarà partorito un uomo in pannolone (forse reminiscenza di Castellucci), legato alla Madre da un cordone ombelicale. Dopo una strenua lotta, quel cordone sarà reciso da tre donne feroci e nere, come a evocare forze dell’irrazionale, mentre. Nella terza fase, l’uomo sarà destinato a ricongiungersi con un’altra donna in una cerimonia nuziale che sancisce l’unione degli opposti, rappresentata dal sigillo di Salomone, simbolo dell’unione dei diversi elementi dell’universo. Azzurra De Gregorio si rifà quindi a un simbolismo arcaico per esplorare un tema archetipico. Un simbolismo che, se coinvolgente nella sua componente concettuale, tradotto nella pratica scenica risulta ancora troppo acerbo per riuscire ad andare oltre l’intento didascalico delle immagini e far sì che queste siano portatrici di un’ulteriore densità drammaturgica.
Dal mondo arcaico si passa a quello della cronaca nera con Se non sporca il mio pavimento di Giuliano Scarpinato, in cui l’omicidio agghiacciante di Gloria Rosboch avvenuto nel 2016 in un paesino di provincia diventa il pretesto per esplorare due modalità completamente opposte di adolescenza: l’una è emotiva, ingenua, protetta, ed è quella di Gioia/Gloria Rosboch (Francesca Turrini), donna-bambina, insegnante 49enne schiacciata nel corpo e nelle aspirazioni da una madre e una realtà opprimenti. L’altra anagrafica, inquieta, feroce, di Alessio/Gabriele Defilippi (Michele Degirolamo), studente dai 12 profili facebook che aggirerà Gloria manipolando i suoi sentimenti e infine uccidendola con la complicità del suo amante 54enne Cosimo/Robert Obert (Ciro Masella). Dal filtro di una cameretta, già luogo sospeso fra realtà e finzione in Fa’afafine, Scarpinato moltiplica i piani dell’azione attraverso la proiezione d’ immagini oniriche e un efficace gioco di specchi, utilizzando così quella riconoscibile cifra stilistica fra teatro e cinema per penetrare i mondi interiori dei protagonisti (anche se il fulcro sembra più spostato verso quello tormentato, tenero e doloroso di Turrini, mentre la personalità di Alessio, pur nell’efficace interpretazione di De Girolamo, appare più accennata), peculiarità e limite stesso dello spettacolo, poiché non si fornisce una chiave di lettura registica sufficientemente approfondita per interpretare una storia dai risvolti psicologici e sociali così inquietanti e complessi. Così, gli eventi si susseguono inesorabili fino ad arrivare alla morte di Gloria – straziante, amara, imperdonabile – che però irrompe brutalmente in scena senza essere sufficientemente analizzata, né tantomeno redenta.
Lucifer indossa pantaloncini e berretto rossi. All’inizio si contorce nudo in penombra, al ritmo di beat di musica tecno, come una figura di Francis Bacon. Proprio lui, il portatore di lux, l’angelo decaduto prediletto da Dio, è la figura al centro del nuovo lavoro di Industria Indipendente, un esperimento fra teatro e clubbing, che indubbiamente decontestualizza Lucifero dalla sua iconografia abituale per farne una creatura del tutto nuova. Lucifer (PierGiuseppe Di Tanno) si muove sul palco in un luogo né realistico né onirico, eppure quei riflettori e la fila di vestiti al lato fanno pensare a un comunissimo set pubblicitario in cui mostrarsi, già segno premonitore di una società dell’apparenza. In scena, oltre a Lucifer e a Lady Maru, in consolle al lato del palco pronta ad assecondare con le sue note gli umori infernali di Lucifer, ci sono delle uova con cui il performer interagirà – fin troppo – per tutta la durata dello spettacolo. Uova come metafora del femminile; della perfezione destinata a frangersi al suolo (proprio come Lucifer); uova come vita potenziale ma sterile incapace di rigenerarsi; come prodotto dello sfruttamento intensivo delle galline da batteria e quindi simbolo di un consumismo sfrenato. Peccato però che tutte queste intuizioni iniziali si perdano in scena in una drammaturgia che si dilunga fin troppo sul “motivo” delle uova e che mescola lingue diverse, rimastica pezzi tratti da Emil Cioran, meditazione, femminismo contemporaneo, disperdendosi senza trovare un punto focale. Lucifer è un prodotto della società contemporanea: confuso, fragile, solo, sempre sul punto di vomitare sulla realtà che lo ha creato, eppure la sua dannazione, se è evidente nella fisicità e nella performance magnetica di PierGiuseppe Di Tanno, è ancora poco chiara nella sua realizzazione complessiva.
Infine, con la Trilogia Werner Schwab, Dante Antonelli e il Collettivo Schlab dimostrano invece di avere una maturità artistica capace di far scaturire attraverso il teatro qualcosa che ha a che fare con il nostro presente. Con la presentazione di Fäk Fek Fik, DUET, Santo subito e Kova Kova, spettacoli nati dall’incontro- direbbe Grotowski – con i Drammi fecali di Werner Schwab per la prima volta presentati insieme, si ha ancora di più l’impressione di assistere a un grande affresco problematico del nostro tempo in cui tutti i nodi dei tre spettacoli deflagrano e risuonano l’uno nell’altro in un incastro organico e godibile, nonostante le tre ore di durata. Antonelli scava nella “merda” di Werner Schwab per parlare della nostra, così, è chiaro che nella Trilogia, troviamo di tutto: c’è l’Italia dei trentenni fra conformismo, lavoretti precari e mode bio-eco-chic in Fäk Fek Fik (Giovanna Cammisa, Martina Badiluzzi, Arianna Pozzoli); c’è l’adolescenza dei Millennials fra noia e vacuità da tutorial nelle due sorelle Kovacic (Arianna Pozzoli, e Valeria Belardelli), figlie di una borghesia perbenista e perversa; c’è l’Europa colpevole e razzista che scaturisce dal massacro verbale di una coppia benestante qualunque in DUET (Valentina Beotti e Enrico Roccaforte); c’è la solitudine dell’artista e la sua condizione congenita di marginalità nella performance – formidabile – di Gabriele Falsetta in Santo Subito, che si sovrappone alla figura di Schwab stesso e a quella feroce della Signora Cazzafuoco in Sterminio.
Tutto questo, però, senza mai dimenticare la violenza, la desolazione, la lucidità nera e i riferimenti a personaggi e temi appartenenti al teatro di Werner Schwab, che a loro volta si trasformano in altro grazie all’apporto autoriale dell’attore in scena che ha un ruolo decisivo nella costruzione della drammaturgia.
È proprio questa la caratteristica più originale del collettivo SCHLAB: di mescolare vita e finzione, regia e drammaturgia in un tessuto scenico potente e inestricabile; di far parlare Schwab e al contempo una generazione successiva; di riuscire a declinare quella domanda iniziale: “dove siamo?”, ma soprattutto “chi siamo?”, in modo sincero e spietato.
Roma, Macro, La Pelanda, 3, 5 e 8 ottobre 2017
Ascolto consigliato
MADRE
Regia, Testi Azzurra De Gregorio
Costumi Marina Miozza
Sound design Massimo Scamarcio
Scene Michelangelo Tomaro Con Giulio Maroncelli, Loredana Canditone, Vera Borghini, Lucia Carrano, Eva Sabelli
Assistente alla regia Carmine Scotto
Assistenza musicale Gianni Tamburelli
Produzione Vanitas Vanitatum
in collaborazione con Frentania Teatri
Foto © Paolo Lafratta
SE NON SPORCA IL MIO PAVIMENTO, UN MÉLO
Regia Giuliano Scarpinato
Drammaturgia Giuliano Scarpinato, Gioia Salvatori
Con Michele Degirolamo, Francesca Turrini, Ciro Masella
In video Beatrice Schiros Scene Diana Ciufo
Video proiezioni Daniele Salaris Luci Danilo Facco
Costumi Giovanna Stinga Visual setting Mario Cristofaro
Make up Elisa Caserini
Assistente alla regia Riccardo Rizzo
Produzione Wanderlust Teatro
Progetto vincitore Odiolestate
Residenza produttiva Carrozzerie | n.o.t
Sostegno CSS Teatro stabile d’innovazione del FVG, Teatro di Rifredi, Corsia OF – Centro di Creazione Contemporanea, Industria Scenica, Angelo Mai Altrove Occupato
Ringraziamenti Il Lavoratorio
Foto © Giorgio Termini
LUCIFER
Di Erika Z. Galli, Martina Ruggeri
Con Piergiuseppe Di Tanno, Lady Maru
Musiche originali Lady Maru
Luci Daniele Spanò, Luca Brinchi
Costumi Clara Tosi Pamphili
Maschera Tiziano Fario
Produzione Industria Indipendente
Coproduzione Carrozzerie | n.o.t
Residenze Armunia, Città del Teatro (Cascina), Corsia Of (Perugia), Angelo Mai (Roma)
In collaborazione con short theatre
Foto © Martina Leo
TRILOGIA WERNER SCHWAB
Direzione Dante Antonelli
Drammaturgia Collettivo Schlab
Ambiente sonoro Samuele Cestola
Ambiente scenico Francesco Tasselli
Costumi Claudia Palomba
Aiuto Domenico Casamassima
Coordinamento Annamaria Pompili
Ufficio stampa Marta Scandorza
Foto di scena Giorgio Termini
Presentato da Associazione culturale Malatesta
Patrocinio Forum Austriaco di Cultura in Italia
Sostegno Carrozzerie | n.o.t
Vincitore Roma Fringe Festival 2015 (FAK FEK FIK: Miglior Spettacolo, Miglior Drammaturgia, Migliori Attrici ex-aequo)
Foto © Claudia Pajewski, Giorgio Termini, Chiara Ernandes