Un teatro Fuoricentro e Dentro le Cose
Dalla teoria alla pratica: una giornata di studio con Laminarie
“Né esteta raffinato, né dilettante”. Prendendo a prestito le parole di Jacques Copeau, Bruna Gambarelli – durante l’introduzione alla giornata di studio “Le azioni e le teorie dei centri culturali nelle periferie” organizzata dalla compagnia Laminarie – riflette sul ruolo cruciale dell’operatore culturale: non un intellettuale rinchiuso nella sua torre d’avorio, né un amatore appassionato, bensì un professionista “preparato e disarmato”, consapevole delle proprie capacità ma pronto ad accogliere improvvisi cambi di rotta; colui che costruisce il suo operato su una profonda conoscenza del territorio e delle criticità ad esso legate attraverso un lavoro di presenza costante. Le parole di Gambarelli, operatrice culturale e fondatrice nel 1994, insieme a Febo Del Zozzo, della compagnia teatrale bolognese Laminarie, derivano da una pratica di lavoro quotidiana: non è un caso infatti che il DOM, la Cupola del Pilastro, spazio che Laminarie dirige dal 2009 in convenzione con il comune di Bologna, sia un polo artistico aperto tutti i giorni e tutto il giorno dentro al quale s’intersecano molteplici pensieri, pratiche artistiche e linguaggi.
Proprio in virtù di questa poetica di incisivo spessore artistico, Laminarie negli anni ha saputo instaurare una relazione culturale determinante nel quartiere del Pilastro (e non solo) alla periferia di Bologna, grazie a una pratica di lavoro che lega in modo indissolubile teoria e azione. Fin dalla sua fondazione, le attività di Laminarie infatti sono sempre state accompagnate da una corposa riflessione teorica che ha preso vita nella rivista Ampio Raggio, permettendo alla compagnia di avere un solido pensiero guida che accompagni il lavoro nella praxis.
La giornata di studio è l’ultimo appuntamento della rassegna autunnale Fuoricentro, organizzata con il consueto rigore dalla compagnia nonostante il momento di grave difficoltà economica che sta attraversando, a causa dell’esclusione dai contributi ministeriali e regionali relativi alla promozione del pubblico e al lavoro sulle residenze artistiche per i prossimi tre anni. Nata in collaborazione con alcuni centri culturali della rete internazionale Trans Europe Halles (un network europeo che collega 109 centri culturali indipendenti di 24 paesi nati dalla riqualificazione di vecchi edifici abbandonati), l’appuntamento si prefigura come un’intensa opportunità di condivisione e confronto su pratiche di lavoro, teorie di riferimento e progettualità stabili che animano l’azione nei centri culturali delle periferie.
Dopo l’apertura della giornata, la prima esperienza ad essere presentata è stata quella dell’associazione di promozione sociale indipendente Interzona, nata a Verona nel 1992 negli Ex Magazzini generali (esempio unico di archeologia industriale) e attiva nell’ambito delle espressioni della scena artistica di ricerca. La volontaria Ada Arduini ha evidenziato la situazione di criticità dovuta alla mancanza di una sede stabile. Nel 2016 infatti, l’Associazione dovette abbandonare quella del Magazzino 22 in seguito all’acquisto degli ex Magazzini da parte della Fondazione Cariverona, che avviò un programma di sgomberi portando a frettolose demolizioni.
Le prime criticità emerse dai primi interventi riguardano così un dialogo complesso fra la politica e le associazioni culturali. Ciò che più preoccupa nel panorama artistico contemporaneo è la difficoltà di concepire un pensiero di lunga durata relativo alle politiche culturali sul territorio. È quello che ha rimarcato Fulvia Antonelli del CESD Scuola delle donne, realtà limitrofa al DOM in cui le donne di origine migrante di tutte le età possono incontrarsi, imparare l’italiano e organizzare laboratori di cucito, creando così spazi di apprendimento e aggregazione sociale.
La sessione pomeridiana ha rappresentato un momento di confronto fra progettualità stabili nelle periferie in ambito nazionale e internazionale. Gerard Lohuis, presidente di Trans Europe Halles, è intervenuto per raccontare la realtà dello spazio P60, di cui è il referente, nato nel 2001 alla periferia di Amstelveen, vicino all’aeroporto di Amsterdam; un sobborgo “noioso” prima dell’insediamento dell’attività e ora invece convertito in un quartiere vivace grazie all’azione di questo spazio culturale che ospita concerti, spettacoli teatrali, laboratori, guidato da uno staff di 12 persone e 80 volontari. Nessuna gerarchia prevista all’interno del personale, piuttosto un sistema circolare attraverso cui mettere in moto una relazione virtuosa fra education, local economy e culture.
Il racconto di Mélanie Gaillard, rappresentante dello spazio Mains D’Oeuvres di Parigi, ha addirittura qualcosa di utopico, poiché il progetto di cui è referente – non a caso chiamato l’Espace Imaginaire – prevede la riqualificazione, per un periodo di due-tre anni, di un luogo abbandonato di 5000m 2 a Montjoie, in Francia, nel quartiere problematico di Seine Saint Denis a partire da una progettualità condivisa fra operatori culturali e abitanti del quartiere. Ad una prima fase diagnostica, in cui Gaillard ha intercettato i desiderata degli abitanti, riunendoli in cinque macro-temi (cultura, alimentazione, spazio pubblico, vivere insieme, mobilità), è seguita una seconda fase in cui queste cinque tematiche sono state sviluppate attraverso una serie di laboratori all’interno dei quali tutti potevano esprimere idee e attivare processi partecipati. Ad oggi, questo spazio ospita degli atelier per residenze artistiche, un ristorante vegetariano, degli orti, una ciclofficina, un alveare per la produzione del miele, uno spazio protetto da cui osservare la biodiversità e accoglie altresì immigrati e senza tetto. Anche in questo caso, la particolarità è l’assenza di una struttura gerarchica: si tratta quindi di un ‘ecosistema culturale’ in cui chiunque voglia ripensare l’immaginario del luogo può essere co-gestore dello spazio.
Incoraggianti segnali di una progettualità a lungo termine, provenienti da una sede istituzionale come l’ERT, arrivano anche dall’Italia. A questo proposito, la curatrice Piersandra Di Matteo ha illustrato in un articolato intervento il progetto europeo biennale Atlas of Transitions, cofinanziato dal programma “Europa Creativa” dell’Unione Europea, a cui collaborano dieci partner in sette paesi con lo scopo di generare nuove esperienze di incontro interculturale tra residenti e migranti. Nelle 10 giornate bolognesi di Right to the City |Diritto alla città, prima tappa del progetto, è stato esplorato un rapporto diverso fra città e migrazione (considerando quest’ultima non dal punto di vista della vulnerabilità) grazie a un attraversamento urbano della città in una modalità festosa e collettiva. L’idea è stata quindi quella di mappare la città, declinare nuove possibilità di vivere lo spazio urbano e generare processi partecipativi: l’importante è fare tutto questo in tanti, perché lo spazio, afferma Di Matteo, “non è un luogo dato ma da abitare insieme. È l’azione che qualifica lo spazio.”
Dopo gli interventi delle “esperienze di vicinato”, realtà associative “amiche” del DOM di fondamentale importanza per il coinvolgimento della cittadinanza nelle attività del quartiere, la giornata si è conclusa con una video conferenza skype in collegamento con Michele Bee dalle Manifatture Knos di Lecce e Pamela Toscano dallo Spazio Zo di Catania per annunciare la presentazione di R.I.C.C.I. (Rete Italiana Centri Culturali Indipendenti), una neonata piattaforma di scambio, collaborazione e mutuo sostegno tra le varie realtà culturali attive sul territorio nazionale. I centri culturali indipendenti coinvolti nella rete sono al momento otto: oltre al DOM e Interzona, sono membri Manifatture Knos, Zo Centro Culture Contemporanee; lo spazio OZU a Montenero Sabino; le realtà bolognesi di Ateliersi e Associazione Culturale Oltre. L’augurio è quello di coinvolgere sempre più spazi culturali indipendenti interessati ad entrare a far parte della Rete.
Dalla riflessione teorica sui centri culturali nelle periferie, ora spostiamo l’attenzione verso l’agente vero e proprio dell’azione culturale: l’artista, colui che davvero sta Dentro le cose. Il legame fra teoria e pratica, la necessità di un tempo esteso per osservare la maturazione di un progetto, la capacità di fronteggiare difficoltà e imprevisti, sono gli aspetti teorici della giornata che si riflettono anche nello spettacolo scritto, diretto e interpretato da Febo Del Zozzo. Perché senza uno studio teorico e pratico approfondito (viaggi, monografie, incontri) sulle “tre vite di un’altra fibra” che nutrono la visione scenica della performance – il pittore Jackson Pollock, lo scrittore Varlam Šalamov e lo scultore Constantin Brancusi –, senza il legame dello spettacolo con le tre tappe performative precedenti (Proiezione verticale – avvicinamento a Constantin Brancusi (2012) e Jackson Pollock – l’azione non agente (2007), Esagera – dedicato a Varlam Šalamov (2000) di cui Dentro le cose rappresenta la summa; e ancora senza quel fattore di rischio che nello spettacolo determina il contatto fra il performer e una materia estranea, Dentro le cose forse non avrebbe quell’incisività che ha dimostrato di possedere.
Lo spettacolo indaga una relazione viscerale e inevitabile fra l’artista e i propri materiali, che Del Zozzo esplora attraverso una modalità artigianale del fare teatro unita a un’impostazione più performativa delle azioni sceniche con cui sono rievocate le opere dei tre grandi artisti del Novecento. Del Zozzo anima una scena fatta di funi, corde, scale, travi, con una perizia furente, attraverso gesti concreti ma allo stesso tempo evocativi che fanno scaturire azioni, immagini e suoni. Illuminato da una luce flebile che si posa di volta in volta su una porzione diversa di spazio, il performer sarà così nello studio di Brancusi a comporre la Colonna senza fine, o a gettare una cascata di foglie sulla grande tela di Jackson Pollock, richiamando la danza che il pittore fondatore dell’action painting eseguiva attorno alla tela; o ancora sarà Šalamov colto nella sua difficoltà a parlare e scrivere dopo la prigionia nel gulag. Infine, quando la luce illuminerà tutte le architetture sceniche nel complesso, si vedranno i segni quasi di una furia abbattuta sullo spazio che esplicitano una strenua lotta fra l’artista e la materia per plasmare quest’ultima alle proprie esigenze di creazione.
Dentro le cose è una testimonianza struggente della solitudine dell’artista, del suo anelito quasi mistico alla creazione che trascende la sua consapevolezza e di quell’aspirazione all’immortalità di cui rimane traccia soltanto attraverso le opere d’arte. Ed è altresì la tappa “pratica” di una giornata di studio “teorica” che non fa che confermare l’importanza dell’azione artistica, culturale, politica, filosofica e sociale di Laminarie, perché capace di aprire nuovi tempi e spazi di riflessione, di fruizione artistica e partecipazione più consapevole alla vita culturale e politica del nostro tempo.
Ascolto consigliato
DENTRO LE COSE
di e con Febo del Zozzo
scene di Laminarie
regia Febo Del Zozzo
cura e organizzazione Marcella Loconte
Ufficio stampa e comunicazione Sara Fulco
Nuova produzione
Bologna, 17 novembre 2018