Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza – Roy Andersson
Immaginate uno sketch dei Monty Python. Privatelo di ogni idea di movimento, prosciugandolo fino a rasentare la fissità assoluta. Fotografatelo nella fredda, obitoriale luce svedese. Aggiungete una solida ispirazione pittorica, con uno sguardo rivolto alle tele di Dix, Bruegel, Bosch. Mescolate il tutto con una base di anarchico surrealismo. Condite con abbondanti dosi di humour nerissimo e non dimenticate di prestare la massima attenzione al sonoro, ricordandovi ogni tanto di come lo hanno utilizzato maestri come Jacques Tati e David Lynch.
È molto difficile riuscire a raccontare il cinema di Roy Andersson. Un cinema che si racconta attraverso un utilizzo delle immagini estremamente originale. La narrazione procede per giustapposizione di tableau vivant, diorami asettici in cui l’unica azione residua va ricercata nella profondità di campo. Non esistono movimenti di macchina nel suo cinema. In ogni sequenza il set sosta immobile per un tempo lunghissimo davanti ai nostri occhi, fino ad imprimersi a fuoco su schermo e retina. Quello che si innesca è un impatto talmente singolare da poter risultare, per chi non è abituato a questo linguaggio, ostico o quantomeno spiazzante. Eppure, se ci si abbandona con fiducia e curiosità al piacere della visione, senza porsi troppi quesiti interpretativi, questo tipo di cinema così lontano da quello che siamo abituati a vedere può riservare enormi soddisfazioni.
Proseguendo sulla rotta di uno stile personalissimo e rigorosissimo, senza concessioni o abdicazioni alcune rispetto ad una piena autorialità, Andersson ha portato a Venezia l’oggetto filmico finora più affascinante della Mostra. Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza è il nuovo, folgorante tassello di una filmografia che già con You, The Living e soprattutto con il magnificamente blasfemo Songs from the Second Floor aveva raggiunto vette altissime. La sensazione è che una giuria coraggiosa, con una ben salda idea di cinema, non possa non tributare un riconoscimento importante a questo film. Così bello da vedere eppure così sommamente politico, autoptica dissezione di un paese al collasso economico e morale. Purtroppo le dinamiche di assegnazione dei premi nei festival spesso seguono altre vie, portando a palmares annacquati o decorativi. Il cinema di Roy Andersson è decisamente altrove. Abita nel territorio della grande Arte. Dove forse anche la vittoria in una importante competizione internazionale è traguardo di totale irrilevanza.