Giunti alla fine di questi ’00, i primi Duemila, come ogni periodo che si rispetti, siamo dunque chiamati a un bilancio degli anni appena trascorsi. C’e chi la musica la divide per decenni: che sarà pure arbitrario dal lato estetico, ma risulta essere tutto sommato un giochino divertente. E allora giochiamo anche noi di Paper Street.
Chi segue questo spazio avrà notato come il taglio editoriale della sezione musicale sia sostanzialmente di stampo rock, con predilezione per la scena internazionale. In questo articolo cercheremo di dare però uno sguardo d’insieme alla decade appena trascorsa, all’estero e in Italia, fermo restando l’orientamento rock che questa rivista predilige da sempre. Non giriamoci intorno: la decade DoppioZero è contraddistinta, a livello globale, dall’affermazione planetaria dell’ultima band “di massa” della scena pop-rock internazionale: i Coldplay. La stella di Chris Martin e soci brilla subito, alta e lucente, con un esordio da brividi come Parachutes (2000): da lì, un’ascesa verso l’Olimpo tuttora ininterrotta, anche se l’esordio appare, agli occhi di chi scrive, ancora ineguagliato. Poco sotto, ma proprio poco, stanno i Muse, che se non fosse per gli ultimi due lavori – nettamente inferiori, complessivamente, rispetto ai primi tre – forse sarebbero ancora più grandi dei Coldplay. Problema dei Muse, è quello di essere rimasti ingabbiati dal “sogno” – tuttora inevaso salvo alcuni episodi – del cantante Matt Bellamy, di riunire in un unico spartito musica rock e musica classica. La terza realtà, posta su questo ideale podio del pop-rock di inizio millennio, è indubbiamente quella dei The Killers, punta di diamante di quel “ritorno degli anni Ottanta che ha contraddistinto il gusto, non solo musicale, del decennio, soprattutto nel secondo lustro. La band, capitanata dal maestro di stile Brandon Flowers rappresenta la prima, credibile band destinata a raccogliere l’eredità dei Duran Duran nel firmamento pop senza essere una boy band (leggasi: suonando).
Il ritorno è la definitiva affermazione dell’indie appare come il grande fenomeno della decade per moda, abbigliamento, attitudine, gusto e musica: Londra ritorna a essere il centro del mondo in questo senso, se mai aveva smesso di esserlo. E allora ecco emergere in questi anni band come i Libertines, che in UK hanno caratterizzato non solo il decennio ma l’intero genere, ben più grandi della figura, talvolta ingombrante, del leader bohemien Pete Doherty, discusso ex fidanzato di Kate Moss e ultimo “eroe maledetto” – o presunto tale – della scena rock. Accanto ai Libertines, nel primo lustro troviamo i newyorkesi Strokes del batterista italiano Fabrizio Moretti: a seguire, una scia di band pazzesche come britannici Arctic Monkeys e Glasvegas, e poi gli americani Interpol, i White Stripes di Jack White, probabilmente il talento chitarristico più luminoso del decennio, già ora uno dei più geniali chitarristi di sempre, e i Kings of Leon, che dal Tennessee trovano però nella Gran Bretagna la “terra promessa” musicale del successo, in particolare con l’album Only By The Night (2008) che ha letteralmente sbancato al di qua e al di là dell’Atlantico.
I DoppioZero sono anche il decennio delle reunion: ritornano, in varie forme e modalità, band come Led Zeppelin e soprattutto Pink Floyd (in occasione dell’evento musicale della decade, il Live 8 del Luglio 2005), ma anche Smashing Pumpkins, The Verve, e gli strabilianti Take That, che avevamo lasciato brufolosa boy band per ragazzine e ritroviamo maturi autori di canzoni pop di classe. Altro ritorno, sebbene non si fossero mai sciolti, è stato quello dei Green Day: dopo un appannamento creativo durato diversi anni, nel 2005 Billie Joe e soci, con l’album American Idiot, sbancano negozi e botteghini realizzando un concept che prende a calci l’America guerrafondiaia di George Bush e accosta rock e politica come non si vedeva, azzardiamo, dai tempi dei Clash (vertigini): probabilmente, il disco più bello degli ultimi dieci anni.
Per band che tornano, una ci lascia: dopo quasi vent’anni si sciolgono gli Oasis. E un po’ ci dispiace: le zuffe dei Gallagher hanno segnato i Novanta, le loro canzoni hanno significato molto di più, in termini sociali e nazionali, per la Gran Bretagna e per la musica. Dall’lslanda arriva il genio compositivo degli Sigur Ros, scoperti da Bjork e diventati fenomeno di culto a livello europeo nonostante il loro sound sia tutt’altro che ‘pop’. Altro fenomeno di rilievo del decennio è il ritorno dello swing, incarnato in particolare dalla discussa e discutibile figura della talentuosa quanto folle Amy Winehouse, diadema accecante del decennio a livello vocale.
Se andiamo a guardare un poco oltre, poi, per esempio a livello di musica sociale, questi strani DoppioZero ci regalano due “rivoluzioni”. La prima è nel modo di fruire la musica da parte delle persone: la musica infatti non è più CD, ma si scarica da Internet, un processo di delegittimazione delle case discografiche culminato con In Rainbows, l’album dei Radiohead (2007) venduto online direttamente dalla band al pubblico, a un prezzo libero scelto dall’utente. E’ il caos: l’industria discografica entra definitivamente in crisi e si avvia, complice anche la contemporanea crisi dei mercati mondiali, verso un de profundis che pare inevitabile: ai posteri il verdetto. Ma nel 2008 la musica per qualche mese si dimentica di essere a volte solo un prodotto e ritorna a smuovere le coscienze, a regalare sogni e speranze: in due parole, Barack Obama, primo Presidente afroamericano degli Stati Uniti, viene eletto con il sostegno della gran parte del mondo del rock internazionale, che suona per lui durante la campagna elettorale e che, soprattutto attraverso gli U2 e Bruce Springsteen, dimostra che la musica può ancora comunicare ed essere una voce sociale di rilievo, realizzando così non solo il “sogno” di Martin Luther King, ma anche in parte quell’utopia che dal 1969, Woodstock, non era ancora stato possibile rendere viva. Speriamo dunque che il Premio Nobel per la Pace Obama sia dunque all’altezza di un compito così arduo: anche qui, ai posteri l’ardua sentenza.
E l’Italia? Le novità principali del Belpaese musicale, non ce ne vogliano gli altri, vengono nella prima metà della decade dalle realtà dei Lunapop (con Squerez, 2000) proseguiti nella figura ormai musicalmente matura di Cesare Cremonini, e dai Subsonica, che dai Murazzi di Torino sono esplosi sulla scena dance fino a diventare, quasi indiscutibilmente, una delle rock band più grandi della storia d’Italia. I DoppioZero sono anche il decennio di Elisa Toffoli da Monfalcone, voce sublime e talento purissimo, dei leccesi Negramaro (con un grazie a Caterina Caselli per aver scoperto entrambi) nonché dell’affermazione totale, tra stadi e raduni di massa, di Luciano Ligabue e Vasco Rossi come i due profeti del rock all’italica.
E infine, com’è giusto, vale la pena ricordare i tanti, grandi e grandissimi, che ci hanno lasciato in questo decennio. Da Joe Strummer, anima dei Clash e figura che travalica il lato musicale, per diventare icona sociale del secolo scorso; a George Harrison, che se non fossero esistiti Lennon e McCartney sarebbe probabilmente il più grande songwriter della storia. E poi, John Entwistle degli Who, Richard Wright dei Pink Floyd, Johnny Cash e Barry White. Ma soprattutto, se ne sono andati due Re: Luciano Pavarotti, il Re della lirica, e Michael Jackson, The King of Pop. Nel prossimo decennio ci porteremo tante cose, dalla musica ridotta a file scaricabili, al nuovo sogno americano, ma loro non ci saranno, e un po’ ci mancheranno. Aspettiamo di vedere chi ci consolerà. Naturalmente, con una canzone.