Tutti cantano Color Fest – Parte I
Risposte e conferme della V edizione del festival calabrese
Ci siamo lasciati ad agosto 2016 contenti e soddisfatti, abbiamo scambiato qualche chiacchiera tra dicembre e gennaio per la winter session e ci ritroviamo adesso per parlare ancora di Color Fest. C’eravamo promessi di ritornare, così il 4 e 5 agosto siamo stati presso l’Abbazia Benedettina di Lamezia Terme in occasione della quinta edizione del festival e abbiamo cercato di rispondere agli interrogativi che erano rimasti in sospeso e che ci portavamo dietro, trovando conferme e spazzando via qualche luogo comune.
In questo report, quindi, abbiamo voluto offrire un punto di osservazione ampio che non guardasse solo al contenuto, ma anche al contenitore perché non è sufficiente coinvolgere grandi nomi per fare la differenza, ma bisogna che ci sia sempre una solida organizzazione ed un valido progetto. In estate, ancor più che in inverno, spopola il tormentone dei festival, spesso ravvicinati e a volte troppo simili tra loro. Tutto ciò può essere origine di fenomeni positivi per la diffusione della musica, ma può anche appiattirla a lungo termine ed allontanare dal suo ascolto. Nel mare continuo di eventi e manifestazioni, pertanto, occorre puntare su ciò che effettivamente può determinare la differenza e sul quid pluris che sancisce la prevalenza di una rassegna rispetto ad un’altra al netto di errori organizzativi e tecnici possibilmente da evitare.
Mi Ami Festival, Arezzo Wave, Collision Festival, Sizget, Sherwood e tanti ancora per una piazza musicale sempre più piena, come resistere alla quantità incalzante mantenendosi nel tempo e migliorando in qualità? I due giorni di Lamezia Terme sono stati utili a capire se e come la Calabria sia riuscita nel tempo ad inserirsi nel panorama dei festival musicali nazionali e che tipo di riscontro sia riuscita ad ottenere tra il pubblico, la stampa e i media. Si parla di un fetta di regione, ovviamente, ma come una stanza ben arredata dà lustro ad un’intera casa così il Color Fest è riuscito a far parlare bene di sé e a dare un’immagine positiva che va oltre se stessa. Ha dimostrato di non essere un semplice festival di tendenza, ma di andare in controtendenza, puntando alla riscoperta del valore della musica e dello stare insieme al di là del business e delle tecnologie moderne, e ha lottato contro lo spauracchio del problematico binomio concerti e musica al sud sotto ogni profilo a partire dalla location.
Molti organizzatori, infatti, individuano il luogo e l’ambientazione, spinti da necessità, effetto ottico o mania di ostentazione, il Color Fest invece per il secondo anno consecutivo ha scelto il classico con l’Abbazia Benedettina di Lamezia Terme, unica per storia e costruzione. Ci sono modelli e guide di riferimento che inconsciamente tendono ad essere emulati, per cui è difficile dire se il Color Fest sia un progetto nuovo e distaccato o tradizionale, ma innovativo nel suo genere, di sicuro è un festival in continua crescita, caratterizzato da una forte indipendenza e socialità, che ogni anno si ritaglia il suo momento di gloria per qualità ed offerta.
Il direttore artistico, Mirko Perri e la squadra del Color Fest, giovane, volontaria, unita, hanno dimostrato che collaborazione, spirito di dedizione e sacrificio portano ad ottimi risultati di ospitalità ed accoglienza, ma la cifra di questa edizione è stata, senza dubbio, l’organizzazione. Tutto è stato curato nei particolari, dalla ricezione alla sistemazione degli ospiti e dei tanti intervenuti, dalle navette al servizio camping, perché la Calabria è bella, ma lontana ed occorre partire proprio da queste problematiche concrete e risolvere gli eventuali disagi legati all’attrazione verso posti suggestivi e spesso sconosciuti perché distanti.
Felicità e fedeltà del pubblico e massiccia presenza sono, inoltre, tra gli indicatori da non sottovalutare per capire il gradimento di questi eventi e questa quinta edizione sembra li abbia soddisfatti pienamente. Ha registrato alti numeri di partecipazione per entrambe le serate ed è riuscita a combinare musica passata e recente, grandi nomi e artisti più giovani, gruppi esordienti e meno conosciuti. Tanto verde e sole con due sole piccole pecche: il caldo indescrivibilmente esagerato da togliere il fiato che non ha scoraggiato l’affluenza e cantanti più schivi e meno disponibili al dialogo e alle interviste, ma con uno spirito tuttavia trascinante e coinvolgente dal palco, un approccio anomalo a metà strada tra il trasporto emotivo da momento espositivo e la riservatezza e la chiusura da fuori sipario.
La selezione degli artisti ha bilanciato criteri diversi temporali, musicali e sociali in maniera armoniosa cosicché la line up non è apparsa banale, ma avvincente ed appassionante, e ha convinto ed assecondato i gusti di un pubblico proveniente da diverse regioni italiane e da tutta la Calabria che, spesso scettica ed impreparata, ha risposto in maniera attenta e calorosa.
La giornata del 4 agosto ha spezzato l’impostazione tradizionalmente maschile del festival con due donne diverse per storia ed esperienza, ma ugualmente eccezionali: Nada e Levante.
Cantante, cantautrice, scrittrice ed attrice italiana, Nada ha confermato tanta grinta, forza, dinamismo ed un fascino che dal 1969 ad oggi non l’ha mai abbandonata. Elegante ed istrionica, teatrale ed espressiva, accompagnata dall’eccezionale band pop rock A Toys Orchestra, ha intonato Piangere o no, Tutto l’amore che mi manca e Senza un perché tratti dall’album Tutto l’amore che mi manca (2004) e ha gridato tra gestualità e pathos contro il femminicidio con La bestia e Ballata triste, eseguita due volte, come All’aria aperta, tutte dell’album L’amore devi seguirlo (2016).
Tanta emozione ancora sulle note di Ti stringerò e Guardami negli occhi (Stazione Birra, 2008), di Occupo poco spazio e La Terrorista (Occupo poco spazio, 2014) e balli e mani scroscianti per i pezzi sanremesi Ma che freddo fa (Ma che freddo fa/una rondine bianca, 1969) e Luna in piena (Luna in piena, 2007). Da Smalto (1983), Nada e A Toys Orchestra riprendono la famosissima Amore disperato e concludono con Inganno (Dove sei sei 1999).
Scenica e capace di gestire la folla, pur nella sua giovane età, Levante incanta per la sua dolcezza e, tra qualche momento di timidezza e ritrosia, è tra le poche se non l’unica a concedersi a qualche foto dopo l’esibizione. Nell’unica tappa calabrese ha presentato il suo terzo discografico Nel caos di stanze stupefacenti di cui ha proposto le emozioni, i sentimenti e le aspettative racchiuse in Diamante, Santa Rosalia, Io ti maledico e Gesù cristo sono io cantata in chiusura. Il soggettivismo risuona in Le mie mille me, Non me ne frega niente e Sentivo le ali. Dell’ultimo album sono state anche le canzoni 1996 La stagione del rumore, Io ero io e Pezzo di me, composta insieme a Max Gazzé, ma realizzata da sola per l’occasione.
La cantante catanese ripercorre il passato sin dal 2014 con l’album con Manuale distruzione di cui porta sul palco Cuori d’artificio, La scatola blu, Duri come me, Memo e Sbadiglio. Partecipazione e coinvolgimento del pubblico accompagnano, infine, Lasciami andare, Contare fino a dieci, Le lacrime non macchiano e Mi amo dell’album Abbi cura di te del 2015.
Sulla scia delle tendenze musicali del tempo, il Color Fest dà largo ai giovani con i Fast Animals and Slow Kids e i Gazebo Penguins.
Dopo Questo è un cioccolatino, Cavalli, Hybris e Alaska, per i FASK la maturità è arrivata con Forse non è la felicità e, perciò, hanno deciso di condividere l’euforia di questa nuova fase musicale e, in particolare, alcune canzoni come Giorni di gloria,Tenera età, Ignoranza, Montana, Giovane e Forse non è la felicità che dà titolo all’intero album ed è un invito a cercare la vera felicità, che spesso risiede nelle piccole cose e nelle semplici gioie.
La band post-hardcore/emo-core di Correggio porta, invece, al festival lametino la sua bravura, la grinta e Nebbia, un lavoro nostalgico, ma più impegnativo e consapevole, attraversato quasi da un’immaginaria foschia. Di questo quarto album, che si è fatto un po’ attendere, i Gazebo Penguins hanno voluto far assaporare i ritmi punk e le riflessioni sul cosmo di Porta, la disillusione e i “uo uo” di Scomparire, un’elettronica originale e una chitarra più morbida in Bismantova. Strumentalismi e post rock echeggiano in Febbre e Pioggia, mentre «è questione di un attimo» per la title track Nebbia che da un pacato crescendo di suoni elettronici esplode in interrogativi e dubbi e per i più affezionati non mancano le vecchie canzoni come Finito il caffè e Senza di te rispettivamente degli album Raudo (2013) e Legna (2011).
Lamezia Terme diventa Marassi quando sul palco principale Stefano Cuzzocrea arrivano loro: gli Ex- Otago.
“Coraggiosa” e carica, malgrado le temperature torride, la band genovese nella composizione modificata per la presenza di Boris Ramella in sostituzione di Simone Bertuccini, si fa travolgere e travolge il pubblico in un clima di pura festa fatta di giochi di luci, palloncini e colori. Tra i getti d’acqua e il serpentone umano di Francesco Bacci sospeso tra i fans, gli incitamenti e i dialoghi del frontman Maurizio Carucci, gli Ex- Otago raccontano il piccolo cosmo racchiuso nel loro quinto album in studio tra leggerezza ed estrema realtà con Sognavo di fare l’indiano, Non molto lontano, Stai tranquillo e La nostra pelle.
Si respira buon pop in Gli occhi della luna, Mare e Quando sono con te, mentre il momento di riflessione, indignazione e rottura delle frasi fatte e dei pregiudizi arriva con Ci vuole molto coraggio, I giovani d’oggi e Cinghiali incazzati. Nella carrellata ci sono anche brani meno recenti come Amico bianco dell’album In capo al mondo (2014) e Costa Rica tratto da Mezze stagioni (2011) che riporta al periodo insieme ad Alberto “Pernazza”Argentesi.
Il Color Fest guarda anche alla dimensione locale per rilanciarla e promuoverla con Aldo D’Orrico e Kyle.
Il cantante cosentino più noto con il nome d’arte Al the coordinator fonde il folk a blues e bluegrass e, tra chitarra, voce e qualche tocco di banjo, crea momenti di aggregazione e condivisione con il suo album d’esordio Join the Coordinator di cui intona The Shepherd’s Walk, Golden, Girl from the north country, The mist e Working on a building.
Kyle è invece un progetto di pop contemporaneo, di cui lo stesso D’Orrico fa parte, che attira per il polistrumentismo fatto di chitarre acustiche, contrabbasso, batteria, percussioni, ukulele, farfisa e mandolino, e per l’eclettismo della band guidata dalla voce di Michele Alessi che porta in scena Space Animals, un secondo album o terzo se si considera l’Ep di debutto pieno di rimandi alla musica passata pop e country e ben costruito.