Triple Frontier
Un importante film sul fallimento e sull’importanza che ognuno di noi deve dare alla propria ambizione.
Nella zona di confine tra Paraguay, Argentina e Brasile, immersa tra i verdi paesaggi della giungla tropicale, sorge un luogo noto per essere una zona franca; culla della criminalità organizzata e crocevia di traffici di droga, riciclaggio di denaro e delinquenza. Qui il nostro protagonista, Santiago “Pope” Garcia (Oscar Isaac), è alla strenua ricerca da 3 lunghi anni del boss dei narco trafficanti, Lorrea. Dopo l’ennesima operazione fallita, viene a sapere dalla sua informatrice Yovanna qual è la locazione esatta del nascondiglio di Lorrea. Pianifica così un assalto, reclutando i suoi ex commilitoni, che non se la passano benissimo. Promettendo di evitare vittime civili e di consegnare parte del bottino alla CIA, riesce a convincere William (Charlie Hunnam), suo fratello Ben (Garrett Hedlund), Francisco (Pedro Pascal) e Tom (Ben Affleck) a seguirlo nella giungla colombiana.
Una produzione di quasi dieci anni ha portato alla realizzazione di questo titolo. Tra i vari nomi che si sono avvicendati, l’unico a rimanere saldo al progetto è Kathryn Bigelow, autrice di film d’azione cupi e intensi che sono entrati oramai nella storia del cinema americano, da The Hurt Locker a Zero Dark Thirty. Questa volta la Bigelow occupa il posto di produttrice e lascia la sedia da regista a J.C. Chandor, emerso con il dramma sulla finanza Margin Call, passato per l’odissea in mare di Robert Redford in All Is Lost e poi molto amato dalla critica americana per A Most Violent Year (qui in Italia passato con il titolo meno fortunato di “1981: Indagine a New York). Nel suo Triple Frontier, l’aspetto tattico-cinetico della vicenda è lo strumento principe del racconto, sotto al quale tesse un intreccio delle questioni motivazionali e psicologiche. I due piani narrativi coesistono, applicando poi alla storia del film quel velo di amarezza legata alla fatalità del destino che è tipica del suo cinema precedente.
Fin da quando l’operazione inizia, la percezione è sempre quella che il piano possa fallire da un momento all’altro, non tanto per la fallacia di quest’ultimo ma per l’avidità dei protagonisti. Chandor dirige con una regia asciutta una avventura che si trasforma in un calvario. Le grandi difficoltà fisiche e geografiche in cui il gruppo incorre, come le alte Ande da superare per arrivare alla nave che li porterà in salvo, sono direttamente proporzionali alle battaglie etiche e morali con cui essi si devono confrontare. In egual misura il carico prezioso e le scelte avventate deteriorano il loro rapporto di fraterna amicizia, rendendo il lungo cammino sempre più teso. Un’opera filosofica, questa, sulle tracce dei grandi maestri della Nuova Hollywood Salario della paura, doppio grande film prima di Henri-Georges Clouzot e poi di William Friedkin. Un importante film sul fallimento e sull’importanza che ognuno di noi deve dare alla propria ambizione.