Trasparenze: quando il teatro affiora nell’urbano
IV edizione del festival modenese
Per chi si fa il teatro? La risposta più onesta, al netto di ogni romanticismo, dovrebbe essere per chi c’è. Ma a questo punto scatta automatica un’altra domanda: e come si accede al teatro?
Tutti bene o male sanno che il teatro c’è, ma di qui a considerarlo qualcosa di vicino, di prossimo, di proprio, ne passa. L’impressione generale, spesso, è che sia una realtà parallela, a volte circoscritta a volte impermeabile, ma comunque particolarmente “diversa” e per questo distante. Poco importa poi se sia davvero così: in tempi di neoliberismo l’impressione è tutto, l’apparenza la parola d’ordine; piaccia o meno è la logica del marketing. E quanto a marketing (che in sé e per sé non è nulla di esecrabile) il mondo teatrale italiano è ancora piuttosto acerbo.
Il pubblico però pur c’è. In questo clima generale di incertezza, infatti, le persone hanno un fortissimo desiderio di identificarsi in qualcosa di altro da sé, di ritrovarsi insieme, di riscoprirsi pubblico per l’appunto. Insomma, di godere del bello. Perché bello in fondo come diceva quel cinico di Hobbes non è nient’altro che ciò cui si è portati a dare fiducia, ciò che invita, ciò che promette bene.
Appare dunque una felice alternativa quella proposta e ideata da Stefano Tè e Agostino Riitano a Modena: Trasparenze più che un festival è innanzitutto un’occasione di aggregazione. Poco fuori dal centro, nel Complesso San Giovanni Bosco, là dove da un lato i pensionati, stipati tra di loro lungo le panchine, voltano le spalle a quei piccoli immigrati di seconda generazione che dall’altro lato giocano nel giardino, sorge l’area festival, proprio al centro, agendo già da trait d’union tra una tradizione che scompare e un’altra che si omologa.
Quattro giorni di spettacoli, incontri, performance, concerti e installazioni (distribuiti tra centro città, parco, teatri Segni, Čajka e Drama e carcere), che tentano appunto di mettere in contatto realtà spesso distanti tra di loro attraverso l’intrusione artistica. Intrusione, sì. Coraggiosa, rispettosa e creativa. Perché se c’è un aspetto che caratterizza Trasparenze è proprio la trasversalità: nessuna pretesa di competere alla novità teatrale più prestigiosa, no, qui l’intento per quanto la qualità certo non manchi è quello di abitare creativamente la città, spingere gli abitanti a riscoprire con un altro sguardo lo spazio che attraversano ogni giorno.
Felice, allora, l’intuizione delle instant performance, come l’improvvisa apparizione di Mario Barzaghi in abiti tradizionali indiani tra le strade e le vetrine del centro storico con la magnetica gestualità rituale (mudrā) del katakhali, il teatro-danza del Kerala, a narrare le imprese di Paraśurāma, sesta incarnazione del dio Viṣṇu (per saperne di più: consigliamo l’audio-intervista di Pascarella su Gagarin La divinità sul maggiolino). Poco importa definirlo teatro, spiegare cosa sia e perché ci sia: quella presenza imprevista scatena l’immediata curiosità di chiunque. D’improvviso, la diversità non genera più distanza.
Così come particolarmente azzeccati sono tutti gli interventi di interazione “altra” nell’area festival (selezionati dalla direzione insieme al gruppo di under 25, la Konsulta, coinvolto attivamente in tutte le fasi del festival): come il Nuovo Cinema 500, l’intimità di un cinematografo all’interno di una vecchia Fiat Cinquecento; o la narrazione a distanza, tramite cuffia wi-fi, di spazi installativi a cura di V XX ZWEETZ, per recuperare l’atto della visione attraverso l’attenzione dell’ascolto; o anche le esplorazioni di quartiere Walk About condotte, microfono-auricolare, da Carlo Infante per sciamare in gruppo alla riscoperta dello spazio urbano (anche se l’esperimento poteva essere preparato, o quanto meno strutturato, decisamente meglio).
Convince meno, invece, il versante puramente teatrale. Al di là della qualità del singolo spettacolo (rinviamo all’articolo di Matteo Brighenti Trasparenze Festival a Modena, tra santi, balene, profeti e burattini di legno su PAC), infatti, si fatica a trovare una proposta omogenea, manca una costante, un filo rosso che in qualche modo crei continuità di curiosità tra una messa in scena e l’altra, qualcosa che spinga il nuovo arrivato a proseguire il percorso, ad avventurarsi oltre.
Così come gli incontri aperti pomeridiani sul concetto di spazio pubblico, di resilienza artistica, di teatro nelle sue diverse declinazioni sono probabilmente troppo settoriali per riuscire ad attrarre il passante di turno.
Certamente la variegata proposta di questa IV edizione testimonia la grande apertura di un festival che in pochissimi anni si sta già dimostrando un rilevante polo di incontro, scambio e contaminazione. Ma è vero, altresì, che un eccesso di stimoli può disperdere gli intenti rischiando di incrinare la tenuta complessiva del festival e quindi la percezione che se ne ha dall’esterno.
Non è ovviamente auspicabile fissarsi in una forma rigida che riduca la pluralità delle traiettorie tracciate, ma una connotazione più decisa potrebbe riuscire a operare quello sfondamento delle distanze, quella compresenza, quel farsi incontro che Trasparenze (nella natura stessa della compagnia organizzatrice Teatro dei Venti) ha già nel suo DNA. Se Tè e Riitano riusciranno ad accendere nuovi focolai nel tessuto urbano modenese e al contempo individuare spettacoli che intercettino più marcatamente questa vocazione alla valorizzazione della marginalità, il festival a breve diventerà senza dubbio un punto di riferimento a livello nazionale per la spinta all’orizzontalità.
(Foto ©Chiara Ferrin | Trasparenze | Ufficio Stampa)
Ascolto consigliato
Modena – 6 e 7 maggio 2016