La coscienza di una memoria
Addio a Tonino Guerra, sceneggiatore di Fellini Antonioni, Petri
Nel primo giorno di primavera muore Tonino Guerra: un genio, un poeta, una persona dolcissima. Per tantissimi italiani medi era solamente un vecchietto simpatico abile nel dispensare ottimismo, seduto su una sedia, all’uscita di centri commerciali.
Invece chi ci ha lasciato è stato uno dei più grandi poeti e sceneggiatori, uomini ed eroi che l’Italia ha avuto nel secondo Novecento. Ha scritto per i grandi del cinema. Ha regalato poesie di intensa e rara, fragile bellezza. Ha progettato manifesti per richiamare i sindaci a preservare le bellezze del territorio, ha disegnato fontane, dipinto acquerelli, ideato orti e musei. Un piccolo ed immenso Omero romagnolo che ha disseminato in ogni dove il suo sapere, le sue invenzioni conosciute ed apprezzate in tutto il mondo.
Quindi riavvolgiamo il nastro. Antonio (Tonino) Guerra, nato a Santarcangelo di Romagna il 16 marzo 1920, inizia a comporre poesie in lingua dialettale durante la sua prigionia nel campo di concentramento di Troisdorf, in Germania, poesie poi raccolte nel volume I scarabocc (’46). Esordisce quindi come scrittore nei Gettoni diretti da Elio Vittorini per Einaudi: è l’inizio degli anni ’50 e Guerra soggiorna assai frequentemente a Roma, dove finisce per stabilirsi a partire dal ’53. Frequentando la casa del pittore Lorenzo Vespignani, divenuto suo amico, fa la conoscenza di Elio Petri, Giuseppe De Santis (con cui debutta come soggettista in Uomini e lupi nel ’57), e Aglauco Casadio (con lui invece il debutto come sceneggiatore in Un ettaro di cielo nel ’59).
Da allora, un capolavoro dopo l’altro: i titoli da lui firmati sono un pezzo cospicuo della storia migliore del cinema mondiale e messi in fila fanno impressione. Ne citiamo solo alcuni, i più famosi: Amarcord, Prova d’orchestra, E la nave va con Fellini; il sodalizio col ferrarese Antonioni: La notte, L’eclisse, Deserto rosso, Blow Up, Zabriskie Point; con Elio Petri: La decima vittima, L’assassino. Lunghissime le sue collaborazioni con Francesco Rosi, che gli deve alcuni dei suoi film migliori, come Il caso Mattei, Cadaveri eccellenti, Cristo si è fermato a Eboli, e quella con Angelopoulos: Paesaggio nella nebbia, Il passo sospeso della cicogna, Lo sguardo di Ulisse, L’eternità e un giorno, La polvere del tempo. E Nostalghia di Tarkovskij, La notte di San Lorenzo, Kaos, Il sole anche di notte dei fratelli Taviani… Impossibile rinchiudere questi film in un arido elenco, perché nella sua (po)etica tutto è caldo e vivo nell’atto di essere misurato e filtrato dalla memoria.
Uno dei più grandi narratori di sempre, rinchiuso in una pubblicità. Ma allora, oggi che Tonino è morto c’è da chiedersi: e il nostro ottimismo dov’è finito? E i nostri profumi? Forse tre passi del delirio (presente-passato-futuro), possibili suffissi alla impercettibile “vita”.
Esplosiva. Sul finire di Blow Up la partita a tennis tra mimi, senza pallina e racchette (proprio per questa impossibilità nell’essere ritratta dall’occhio umano, tanto meno dal fotografo protagonista del film che crede di aver visto un omicidio e lo cerca per tutto il film sulla pellicola che aveva impresso) metaforizza la condizione del pensatore cresciuto a neorealismo ora di fronte al mare magnum di un cinema che va oltre la materialità stringente del dato reale registrato dalla macchina da presa.
Poetica. La scena finale di Nostalghia vede Andrej ed il cane Zoik seduti davanti ad una pozzanghera, con alle spalle la casa in Russia e una foresta di sfondo. Questa immagine iniziale viene via via estesa fino a risultare inserita, quasi come un piccolo plastico, all’interno della struttura di una cattedrale che non ha più il tetto. Sulla scena, dopo tanta pioggia in tutto il film, ora nevica ed appare la scritta: «Dedicato alla memoria di mia madre» (terra?).
Sconsolata. L’ultimo ballo e il lungo addio di Ginger e Fred. Ballerini simbolo della decadenza del cinema e dell’intrattenimento: si perde qualsiasi accenno di bellezza umana, ogni briciolo di vitalità, non esiste e non esisterà più lo spettacolo in grado di far trascorrere piacevolmente alcuni momenti grazie agli artisti veri; questi ultimi sono solo le ombre di loro stessi, troppo consumati dalla stanchezza, dalla fatica e dai rimorsi, portati dall’inevitabile revisione finale della propria vita.
Tre finali, come tre possibili inizi; solo attraverso la memoria c’è coscienza, ripartire è ricordare. Forse per i grandi non è così difficile.
Poi ancora Amarcord, sopra e oltre tutto. La Gradisca si sposa e se ne va portandosi via l’adolescenza di un paesello intero. Chi lascia il paesello e non può più tornare lascia dietro di sé troppe cose per molte persone; si porta via ondate di parole, sguardi ed emozioni che solo i ricordi possono vivificare. Un fuori campo eterno quindi, allo stesso tempo l’inizio di un campo nuovo, un’altra storia. Ottimismo, con tanta memoria, memoria ancora.
Quasi come su una vecchia pellicola in cui saltano le giunte, il nastro è riavvolto. La fine è un nuovo inizio.
Ciao Tonino, buona fortuna per tutte le tue nuove storie.
“Non è vero che uno più uno fa sempre due; una goccia più una goccia fa una goccia più grande.” (Tonino Guerra)