La sottile linea tra ridicolo e sublime
The Lady 2 è forse persino più geniale del numero uno
Il panorama del cinema italiano contemporaneo non sarà proprio eccelso, ma almeno ha il non trascurabile pregio di essere variegato: vogliamo un film che subito alla sua uscita finisca al centro di un dibattito stimolante e tempestoso? Una qualsiasi opera di Sorrentino farà sicuramente al caso nostro. Preferiamo un regista dalla filmografia eclettica, con pellicole talvolta assolutamente diverse fra loro, spiazzanti nel bene e nel male? Orientiamoci verso Garrone. Oppure sentiamo un brulicante desiderio di Nulla che fa quasi tenerezza da quanto vorrebbe in realtà essere qualcosa? Ecco che corriamo a rifugiarci fra le braccia di Muccino.
Abbiamo, infine, una salutare voglia di una concezione di cinema altro, a parte, di visioni così inclassificabili da sembrare allucinazioni del quotidiano mai viste prima? Allora scegliamo senza esitazione The Lady di Lory Del Santo, un miracolo visivo sorto nel novembre del 2014 su YouTube sotto forma di web serie in dieci puntate che raccontano le improbabilissime avventure sentimentali e finanziarie della ricca e fascinosa Lona (Gloria Contreras). Un progetto talmente poco inquadrabile da essere riuscito a calamitare l’attenzione di pubblico e critica totalizzando un altissimo numero di visualizzazioni, divenendo così un instant classic.
Consapevole di aver dato vita a un modo innovativo e trash di concepire il dadaismo, di aver creato un raro esempio di squallore chic dove situazioni in stile Uomini e Donne incontrano battute meravigliosamente assurde e criptiche, Lory Del Santo ha deciso di tornare e portare avanti le rocambolesche storie di Lona con The Lady 2 L’odio passionale.
In queste dodici puntate della durata di tredici minuti circa ciascuna, a prima vista Lory non si allontana molto da temi e atmosfere del suo primo volume: personaggi che sembrano essere stati concepiti nel dietro le quinte di Mattino Cinque da genitori cool il cui segno zodiacale in quel momento stava attraversando la costellazione di Barbara D’Urso; gay come orgogliosamente usciti da una canzone scaduta di Malgioglio; provini negli studi di Lona a Milano per un film e una serie di spot pubblicitari da girare sulla costa nei dintorni di Napoli; un non ben precisato programma televisivo basato su imbarazzanti interviste ad alcune regine della notte in discoteche psichedeliche da far invidia allo Studio 54 di New York; frasi così goffamente strane e incongrue che avrebbero spinto qualsiasi poeta surrealista a licenziarsi. E ancora meschinità ad alto tasso epico, momenti di lussuoso relax, squarci di commedia sexy all’italiana e uscite degne degli Squallor. Immancabili, ovviamente, gli innumerevoli viaggi di lavoro e piacere in Italia e all’estero di Lona, che non smette mai di incantare con la sua luce di bellezza, poesia e determinazione.
Eppure nel suo ripetersi Lory Del Santo è anche capace di portare qualche bella novità: accanto a mitici personaggi già presenti nella prima serie come il maggiordomo Chang (Monsieur Sì Siniora), la fidata segretaria di Lona e l’amica del cuore Giselle, si impongono altre notevoli figure, come il misterioso Er Di Più (Maccio Capatonda), che tramite esagitati video comunica candidamente a Lona di essere l’uomo della sua vita, ma anche il responsabile dei casting a Milano, probabile frutto dell’unione tra un abito del Divino Otelma e una performance esoterica di Solange. Ma soprattutto c’è una new entry tutta femminile, Zora (Olga De Mar), l’antagonista di The Lady: una visione bionda, carnale ed eterea allo stesso tempo, che con i suoi fidati e temibilissimi collaboratori, i Black Angels, si aggira tra decadenti paesaggi da architettura industriale nei dintorni di Milano mettendo a punto un piano di vendetta contro Lona, la quale, a sua detta, le avrebbe rubato sia l’uomo che il posto di vera Lady.
La psicologia di Lona, intanto, rispetto alla prima serie, è ancora più ricca e sfaccettata: la mitica The Lady è più eterea che mai, ama leggere e farsi pervadere dalle varie forme d’arte (almeno così sostiene Zora, perché in nessuna delle dodici puntate ci è parso di vederla assorta in particolari letture) e soffre per la (non ben chiarita) fine della storia con Luke (Costantino Vitagliano, il grande assente di questa serie). Insomma, Lona sarebbe tutta mondo interiore, quasi finirebbe per diventare beatamente una decadente, postmoderna, versione femminile di uno Huysmans o un Wilde dei giorni nostri, o magari un’incantevole modella di un pittore preraffaellita, se non fosse che i suoi impegni di lavoro (?) le impongono di rimanere un essere di questa terra con delle responsabilità.
Anche questa volta Lona continua a rappresentare un vivido esempio di come ricchezza e lusso non combacino esattamente con gioia e soddisfazione: la protagonista soffre con afflato lirico per la sua storia d’amore finita, si ubriaca e sballa con squallida estasi in discoteca mentre un amico le fa scivolare di nascosto una pasticca nel drink, cade nell’oscuro vortice di brutti sogni, si lamenta con pathos di virulenta poesia della mancanza di riflessione nel mondo del business Attenzione però, perché anche Zora possiede una fine dimensione psicologica e un’anima insospettabilmente da 110 e lode: la nostra, infatti, al di là della sua immagine di invincibile «superbo genio del male» si porta dentro un passato di tenerezza, amore e comprensione diametralmente opposto al suo presente, così assetato di vendetta.
Alcune differenze rispetto alla prima serie sono riscontrabili non soltanto nei personaggi, ma anche nello stile: come nel primo volume molte delle sequenze si trovano sempre a metà fra la rivoluzionaria ruvidezza e apparente semplicità del New American Cinema dei primi anni Sessanta e una precisione kubrickiana dell’immagine, ma questa volta Lory, forse consapevole del proprio invincibile eclettismo, aggiunge inaspettati tocchi horror, rendendo la sua opera un contenitore di atmosfere e figure superbamente inquietanti: le brevi apparizioni degli aspiranti modelli e attori al casting, simili a figure di un teatro beckettiano che parlano di senso del vuoto e suicidio; un’agghiacciante e terribilmente ammiccante presenza obesa maschile sul set napoletano introdotta da note minacciose che ricordano la colonna sonora de Lo squalo; gli incubi ad alto tasso dark di Lona che la fanno assomigliare a uno zombie di The Walking Dead; la topless woman che nell’albergo vicino al set spaventa un suo corteggiatore sotto la doccia con un terrificante volto ricoperto di trucco colante; la disturbante silenziosa presenza di due giovani gemelle con un vistoso apparecchio per i denti.
E proprio con queste ultime due figure Lory dimostra che le venature horror di The Lady 2 hanno anche una valenza socio-politica, esattamente come nei grandi film sugli zombi di Romero degli anni Settanta: il disgusto, la falsità patinata dello showbiz e del mondo della moda che fa sognare con lo scopo di illudere brutalmente si rivela ad un tratto attraverso la metafora degli sgradevoli apparecchi per i denti che le due graziose ragazze mettono improvvisamente in mostra sorridendo, orridi marchingegni che squarciano la loro purezza luminosa di fanciulle. Tutto è ormai contaminato, persino la bellezza e il glamour. Da questo punto di vista è notevole anche l’attenzione che Lory dedica a tratti al sociale con riflessioni sulla disoccupazione, il lavoro a tempo determinato, la criminalità, i rapporti nell’era dei social network e il disfacimento delle relazioni umane.
Insomma, il nuovo capitolo di The Lady è una lanx satura, un piatto pieno di generi, sensazioni, visioni e riflessioni che in quanto a potenza non ha niente da invidiare al primo volume, perché con mano selvaggiamente sicura Lory Del Santo continua a portare avanti il suo progetto futuristico sul brutto della visione.
In qualche punto di quest’opera, però, stavolta qualcosa sembra cigolare. Dobbiamo perciò mettere per un po’ in pausa il nostro cieco entusiasmo nei confronti di questo carnevale postmoderno di immagini e persone per fermarci a riflettere, dato che The Lady è troppo interessante per non parlarne (anche) in maniera seria (?).
Non possiamo essere così grossolani da affermare che The Lady 2 è inferiore al primo, perché il discorso è più delicato e complesso. The Lady 2 è infatti forse persino più geniale del numero uno, eppure, in qualche modo, meno magico. In diverse occasioni questo secondo capitolo risulta difatti ancora più amabilmente ardito dal punto di vista della sperimentazione, come è possibile notare ad esempio nelle sequenze dei provini a Milano, ambientate in stanze quasi vuote fra il grigio e il bianco, capaci di generare un’atmosfera astratta che fa annaspare le coordinate di spazio e tempo come accade in alcuni interni di 2001: Odissea nello spazio o Solaris. Che dire, poi, di personaggi come Zu (il nipote di Zora) e Giselle, la cui sublime assenza di pathos nel porgere le battute li fa sembrare dei robot alla Kraftwerk? Per non parlare della sperimentazione linguistica nella delirante scena in cui compare la ex concorrente del Grande Fratello Guendalina Canessa, la quale ha la fortuna di poter pronunciare frasi che sembrano rubate al Pasto nudo di Burroughs: «In questo momento mi immagino una piazza affollata da una polifonia di tipi maschili dove poter esplorare la zona d’ombra dei rapporti umani [ ] Servirebbe un algoritmo per capire perché l’odio sia un sentimento così prepotente [ ] Io sono interessata alla capacità dei nuovi androidi di leggere le nostre emozioni e alla tentazione di interagire con ciò che ci gratifica».
Com’è dunque possibile che con tutto questo affascinante scintillare di materiale The Lady 2 sia a tratti meno magico rispetto al primo? Semplice (anzi, trattandosi di Lory, tutt’altro): perché è più forzato e artificioso, talvolta davvero a tutti i costi. In questa sua nuova creazione a momenti la Del Santo mette in campo in maniera troppo autocompiaciuta il proprio agghiacciante talento, finendo così per creare un prodotto in certi casi di maniera. Sappiamo tutti che Lory possiede la luce della scrittura e della regia, ma lei non può fare a meno di dircelo in continuazione. L’artista inonda le scene di ottime trovate (come le tradizionali canzoni napoletane intonate all’improvviso senza alcun motivo) e una serie di frasi di notevole livello («Sono un wi-fi», «Sei una donna con la doppia a»), ma si tratta di indescrivibili gioielli offerti allo spettatore quasi esclusivamente per fare effetto. Prendiamo nuovamente l’esempio della bellissima scena con Guendalina Canessa nella sesta puntata: l’attrice (?) porge le sue battute piene di magnifica allucinazione con una chiarezza plateale e quasi imbarazzante, come se fosse stata costretta a pronunciarle in modo tale da metterne maniacalmente, esplicitamente in risalto l’essenza assurda ai limiti della fantascienza. Ed ecco allora che, in questo caso, tutto il genio a cui assistiamo prende ben presto le sembianze di un mero (seppur raffinatissimo) esercizio di stile.
Certo, la bellezza c’è, ma è giostrata con meno classe rispetto al primo The Lady, in cui Lory giocava a dar vita a un’operazione interessante, a modo suo innovativa e intellettuale fingendo con astuzia di non sapere che faceva meravigliosamente orrore, e riuscendo così ad avere nuovamente un’attenzione come ai tempi d’oro di Drive In e W la foca.
Si rivela invece assolutamente senza grinze e sbavature l’abilità con cui Lory porta lo spettatore a immergersi in una serie di riflessioni, che coinvolgono in particolare il campo dell’estetica: nella concezione e creazione di un’opera d’arte dove finisce la stranezza, una sana eccentricità e necessaria sperimentazione e inizia invece l’esecrabile brutto e senso del ridicolo? Un’opera può riempirsi di bellezza o di bruttezza anche in un solo istante, a seconda di chi la crea, di come la crea e di chi vi partecipa. Quello che si intende dire qui è che alcune frasi uscite da questo calderone nato da una costola cadente de La grande bellezza non sono poi affatto così superbamente terribili, tanto che potrebbero diventare di gran lunga più splendenti se, ad esempio, finissero fra le mani di qualche docente di scrittura creativa (sempre che simili scuole servano effettivamente a qualcosa) o di un ottimo autore. O magari se venissero opportunamente inserite in un contesto evidentemente demenziale come alcuni romanzi di Arbasino o il primo Benigni. Oppure, più semplicemente, tali battute potrebbero forse alquanto migliorare e farsi decorose se fossero interpretate da attori talentuosi. Facciamo a questo punto un breve esempio al contrario: proviamo a far pronunciare a uno degli attori di The Lady alcuni dialoghi di ottime serie televisive americane o, spostandoci nel campo della letteratura, dei versi bizzarri del poeta dadaista più eccentrico o certi passaggi delle opere di Pessoa: il risultato sarà fantasticamente abominevole. Anche gli angoli più belli de La Recherche di Proust inseriti in uno dei monologhi interiori dell’intensa Lona si brucerebbero a contatto col letale fuoco del suo trash, per poi farsi ridicola cenere da denigrare. Perché dal centro della sua indecifrabile mente Lory ha capito che con simili voli letterari i fan della serie possono (inutilmente) provare a sentirsi un po’ più intelligenti.
Un’ottima web serie dunque anche dal punto di vista filosofico, perché ci costringe a riflettere sulla pericolosissima natura ambigua della creatività, sulla sottile linea che divide il ridicolo dal sublime. Lory Del Santo tiene così tanto a tutta la parte concettuale di questo suo progetto da renderlo narrativamente quasi evanescente, dotandolo di una storia sfuggente e svolazzante che non arriva mai a nessuna conclusione, frustrando con tono autoriale tutte le aspettative. Ma niente paura, perché la nostra è già pronta a indossare nuovamente la fruttuosa maschera di presenza svampita che le ha ridato la popolarità per girare la terza parte di The Lady, il cui titolo, La perfidia patinata, promette già succulente visioni.
Siamo però sicuri che ci sarà anche una quarta, quinta, sesta parte e poi ancora altri numeri che toccheranno i punti più lontani dell’avvenire cinematografico. Perché The Lady è un prodotto così diverso dagli altri, talmente fuori da ogni banalità, logica e catalogazione da essere il futuro. Di che cosa non è ben chiaro, ma è il futuro.