Quando all’uomo viene data una scelta, fa quella sbagliata. Ogni volta. È questa una delle citazioni emblematiche da The Giver, adattamento dell’omonimo romanzo bestseller della scrittrice hawaiana Lois Lowry. Il veterano Phillip Noyce e lo sceneggiatore teatrale Michael Mitnick sono stati voluti dai Weinstein e dal produttore (e qui co-protagonista) Jeff Bridges ad inscenare una storia concettualmente semplice ma impegnativa nella sua realizzazione.
“Il mondo di Jonas” del sottotitolo, in cui vive il protagonista dodicenne, è una comunità chiusa, circondata da una voragine ed estremamente regolamentata da un gruppo di Anziani. I cittadini sono privati di ogni emozione e ricordo di quanto successo prima della nascita della comunità; questo perché la società deve essere perfetta e gli errori commessi dall’uomo in passato (guerre ed altre atrocità) non devono essere ripetuti. Solo una persona custodisce la memoria di tutto questo (Jeff Bridges) e la storia ha inizio quando Jonas viene prescelto per diventare il nuovo custode: quando il vecchio custode (cioè il Donatore) trasmette a Jonas (il Ricevitore) ricordi di dolore, gioia, amore, compassione, Jonas si rende conto di ciò che la sua gente non potrà mai sentire. Complice l’amore che inizia a provare per la sua amica Fiona, comincia per lui una missione disperata per riportare le emozioni nel suo mondo.
Nonostante sia destinato principalmente ai ragazzi, la storia di The Giver raggiunge facilmente anche un target adulto, principalmente perché non ci sono antagonisti puri: come dichiara Cameron Monaghan, che interpreta l’amico del cuore di Jonas, i capi contro cui questi si ribella non sono puramente cattivi, ma persone che pur di evitare altri orrori già commessi dall’uomo sacrificano lati umani positivi, come i sentimenti; il fatto che dall’esterno siano comprensibili (anche se forse non giustificabili) entrambi i punti di vista, affranca il film dalla logica giovanile buono contro cattivo e lo posiziona ad un livello più trasversale, meno immediato e quindi più adulto. La citazione sopra riportata, pronunciata da una algida e perfetta Meryl Streep, diventa quindi sintesi del carattere duale del suo personaggio, il Sommo Anziano: antagonista forte di una verità oggettiva, la quale le conferisce un lato umano.
L’autrice del romanzo afferma che la vera sfida è stata quella di inscenare una realtà (per ora) fantascientifica per poi raccontare sostanzialmente ciò che cambia nella coscienza di Jonas. Phillip Noyce dimostra di avere la sensibilità giusta per raggiungere questo scopo. Oltre a dirigere bene gli attori, ciò che colpisce davvero è l’uso che fa del bianco e nero in contrasto con il colore: il primo mostra la comunità (poiché anche i colori vi sono banditi), il secondo inonda le visioni che il Donatore trasmette al Ricevitore, creando un contrasto cromatico degno di nota. La fruizione di tali immagini accompagnate dalla notevole colonna sonora di Marco Beltrami toccano le corde dell’emozione.
Nonostante possa apparire narrativamente non fresco (il minimo comune denominatore con Divergent e Hunger Games è evidente), The Giver è un film distopico interessante e non banale, soprattutto ben realizzato. Probabilmente per diventare una vera e propria opera andrebbe ampliato nella formazione graduale della coscienza di Jonas, ma il rischio di diventare ridondante è elevato. In ogni caso, film come questi sono sempre ben accetti.