The Forest of Love
Piatto e opaco per i fan di Sion Sono, per tutti gli altri uno stravagante compendio della sua gloriosa carriera.
Come quelli che barano al gioco del labirinto entrando dall’uscita. Così è avvicinarsi per la prima volta all’immensa, profonda e torbida filmografia di Sion Sono, geniale maestro del cinema giapponese contemporaneo carico di furore, ironia e senso dell’assurdo, con The Forest of Love, uscito in esclusiva Netflix. Ogni suo film è un meticoloso sventramento con esposizione di viscere, una selvaggeria dell’anima e del pensiero che si trasforma in immagini feroci come una bestia che ringhia e soffia nel buio di una caverna. Sion Siono mi fa venire in mente, non so se lo dico solo per darmi delle arie o perché c’entra veramente qualcosa, la libertà espressiva e l’umanità di John Cassavetes frullata con il coraggio di Takashi Miike nel riuscire a pisciare sopra tutti i tabù e convenzioni (oltre che ai suoi eccessi grafici).
Studioso del cinema di Nagisa Oshima e accanito lettore di Moravia e Pasolini, con quasi 50 film all’attivo, è con Suicide Club (2002), folgorante satira nera travestita da J Horror su Internet e gli adolescenti, che trova il successo internazionale. Da questo film nasce l’interessante Trilogia sull’alienazione, una trilogia più concettuale che narrativa, che si conclude nel 2005 con il dittico Noriko’s dinner table e Strange Circus. Senza sedersi sugli allori del successo, ma con un insaziabile fame di cinema, l’artista giapponese dà vita negli anni successivi a lavori di spessore come Love Exposure (2008), Guilty of romance (2011), Himizu (2011) e Antiporno (2015), potente critica al vilipendio del corpo della donna, strumentalizzato ad uso e consumo di un mondo maschilista fino al midollo.
Superato l’infarto avuto dopo la nascita del suo primo figlio con la moglie e musa Megumi Kagurazaka, è con The Forest of Love che Sion Sono ritorna dietro la macchina da presa. Il risultato è un lavoro che appare come una sbrodolata e sconclusionata raccolta dei luoghi comuni della sua filmografia che non sposta in avanti, neanche di un millimetro, alcun discorso intrapreso dal regista nella sua carriera. Un gruppo di giovani appassionati di Cinema, capitanati dal volenteroso Taeko (Kyooko Hinami), vuole girare un film indipendente. Più che desiderio è una missione, e per questo Taeko chiamerà la misteriosa Mitsuko (Eri Kamataki), che ai tempi del liceo aveva diretto in una versione lesbo di Romeo & Giulietta. Anche il carismatico Joe Murata (Kippei Shiina) entrerà nel collettivo, ma si rivelerà essere un sadico truffatore che abuserà in modo degradante e perverso della vulnerabilità di ogni membro della troupe.
The Forest of Love è una soap opera ubriaca e grondante di sesso e di visioni oniriche, e sesso onirico, che assorda con gli eccessivi echi dei precedenti lavori di Siono. Patti suicidi tra scolarette, pornografia, cinefilia e smembramenti costituiscono il perno di una narrazione che prima confonde per poi diventare quasi incomprensibile, con tutti i personaggi principali che assumono toni surreali, irreali, attraversati da follia e nichilismo, ossessivi e disperati. Nonostante una selvaggia energia Punk, a causa di un sovradosaggio dell’estremo, della sua durata fiume (quasi 3 ore) e una mancanza di idee originali, The Forest of Love è una visione ostica dal sapore di insipida stranezza. Ripetitivo e contraddittorio, tutto è fuorché l’opera omnia Sion Sono. E’ un rantolo ben pubblicizzati di un autore che in un periodo poco ispirato della sua carriera gioca con il suo passato. Non abita qui il fantasma della libertà.