The Fighters – Addestramento di vita – Thomas Cailley
La fisiognomica è un'invenzione portentosa ai limiti del magico. Grazie ad essa, ad esempio, anche lo spettatore più distratto, vedendo il visino di Arnaud (Kévin Azais), protagonista di quest'opera prima, percepirà facilmente un animo buono, capirà di trovarsi di fronte al gradevolissimo prototipo del ragazzo della porta accanto; una miscela di timidezza e ingenuità, di paura delle possibili minacce del mondo esterno, ma anche desiderio di scoprire tutto ciò che la vita ha da offrire. Lo strumento della fisiognomica ci è utile anche con la co-protagonista, Madeleine (Adèle Haenel), il cui volto piuttosto ostile trasmette immediatamente una scarsa voglia di scendere a compromessi, un comportamento schietto fino alla maleducazione, ma anche un’insolenza di una simpatia non indifferente (la nostra, infatti, fa un po’ sorridere con le sue fissazioni tenebrose sulla fine del mondo). Insomma, una versione più sportiva e fisicamente un poco più allettante della musona Daria, celebre cartone che andava in onda su Mtv diversi anni fa. Non che sia esattamente bella, ma qualche nozione di sensualità il suo corpo ce l'ha. Sicuramente così deve pensarla Arnaud, che si invaghisce di lei dal primo, casuale incontro sulla spiaggia della località balneare francese in cui vivono, e che, assecondando un suo nascosto afflato per l'avventura, non perde tempo a seguirla quando lei decide di unirsi a un esercito come matricola per delle dure esercitazioni nel mezzo di una foresta, abbandonando così il suo lavoro di falegname che svolgeva insieme al fratello. Da quel momento in poi le peripezie saranno all'ordine del giorno. Anzi, del minuto.
Trattandosi della prima esperienza cinematografica per il regista Thomas Cailley, e alla luce delle peripezie a cui i due ragazzi vanno incontro, viene da domandarsi se sia più pericolosamente impegnativa una serie di avventure in una foresta con capi non proprio accondiscendenti o la sfida di girare un lungometraggio per la prima volta. Qualcuno, sulle prime, potrebbe sentirsi così piccolo e insignificante di fronte alla macchina cinema da optare per quest’ultima scelta. Tuttavia, quando si è sicuri dei propri mezzi a disposizione e delle proprie capacità, come Cailley pare dimostrare, allora questa prima volta di celluloide non sarà un’operazione così difficile.
A modo suo, infatti, il qui presente film fa la sua figura. Almeno in teoria. In pratica, forse, un pochino di meno. Perché The fighters ha tutta l'aria – un po' smorfiosetta e autocompiaciuta – del compitino fatto perbene ma che, non appena lo vai a guardare più da vicino e ti ci soffermi, trovi qualche smagliatura, e tutta la brillantezza di cui lo credevi capace altro non era che un velo che, con savoir faire, copriva una certa opacità. Tutto, si diceva, è di certo ben apparecchiato: una compresenza energica di vita, sfida della morte, inquietudine che si abbandona all'ironico, una mescolanza di avventura (fin troppo) movimentata e di psicologia. Psicologia fra virgolette, intanto, dato che i due protagonisti sono stati pensati e fatti con lo stampino dello stereotipo (la coppia di opposti, il bravo ragazzo imbranato che si innamora della bad girl, la quale, dal fondo della sua adorabile ostilità, nasconde un cuore d’oro e la sua voglia di amore). Strizza troppo l’occhio allo spettatore The Fighters – così tanto che gli si consuma la palpebra -, ammicca in maniera eccessiva, e così, tutta la (promettente) dimestichezza del regista annega in un calderone di concessioni giovanilistiche e televisive. Eppure in tanti dicono che è bello; ha anche vinto tre premi César, compreso quello per la miglior opera prima. Certo che lo è, anzi, di più. È perfetto. Come film apparente.