The Eichmann Show – Il processo del secolo – Paul Andrew Williams
Il cinema è una delle palestre della nostra memoria. Negli ultimi anni l'ha dimostrato più volte in occasione del 27 gennaio, giorno in cui si commemorano le vittime dell’Olocausto; e sembra essere attento proprio ai racconti postumi come ha dimostrato con L'ultimo degli ingiusti di Claude Lanzmann nel 2014 e l’anno scorso con Hannah Arendt di Margarethe Von Trotta. Quest’anno invece, al cinema solo dal 25 al 27 gennaio distribuito dalla Lucky Red, ci sarà The Eichmann Show - Il processo del secolo.
Non è un caso dunque che questi tre titoli siano tutti collegati dalla persona di Adolf Eichmann, il funzionario tedesco ritenuto uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei che nel 1961 venne processato in Israele in quello che è comunemente conosciuto come il processo del secolo. Per la prima volta infatti le udienze vennero trasmesse in televisione, il pubblico si trovò di fronte ad una televisione-verità in cui dopo sedici anni dalla fine della guerra a parlare erano i sopravvissuti.
Ciò che è interessante nel film di Paul Andrew Williams è il punto di vista: Martin Freeman e Anthony LaPaglia infatti interpretano Milton Fruchtman e Leo Hurwitz, regista e produttore dell'evento mediatico; coloro che più di tutti contribuirono a decidere come Eichmann doveva essere mostrato al mondo. La sceneggiatura di Simon Block, in cui si raccontano i vari ostacoli incontrati dalla produzione, scorre rapida e lineare, ma in più punti risulta didascalica. È un peccato, perché capire i meccanismi nascosti dietro la grande macchina del racconto per immagini aiuta davvero a pensare ai fatti da una prospettiva inedita.
Il regista interpretato da LaPaglia - da qualche anno inserito nella black list di McCarthy per attività anti-americane - decise di insistere sui primi piani del funzionario nazista nella speranza di cogliere un cedimento, un accenno che dimostrasse il suo turbamento di fronte alle testimonianze delle vittime, cosa che però non avvenne. Questo si sarebbe potuto inserire nel dibattito della tanto discussa banalità del male, concetto coniato dalla Arendt (anche lei presente al processo come giornalista) la quale sosteneva che Eichmann fosse un uomo piccolo piccolo, un mero burocrate che si era limitato ad obbedire agli ordini.
Purtroppo il film ha intrapreso altre strade, ha preferito raccontare i fatti affidandosi a degli schemi narrativi un po’ stanchi (nella sala di regia c’è la stessa identica atmosfera che si respira nei film in cui la NASA segue l’andamento delle missioni spaziali), contaminandoli per fortuna con materiale d’archivio originale. Il tribunale come un teatro, come uno spettacolo che in The Eichmann Show viene mostrato attraverso gli occhi di chi guarda senza sapere di essere visto, un po' come succede nel cinema.