The dark and the wicked
L’America interna, rurale, conservatrice apre le porte al soprannaturale, dove la fede diventa essenziale per avere una direzione e la famiglia l’unica forza per imboccarla.
Presentato al 38. Torino Film Festival e nominato miglior film al Sitges, The dark and the wicked è una storia nera e minacciosa fin dal titolo, che mantiene ciò che promette. Il regista Bryan Bertino – già autore di The Strangers con Liv Tyler del 2008 – ambienta la vicenda in una fattoria del suo Texas, trasformato in terra di isolamento e solitudine, dove la fede diventa essenziale per avere una direzione e la famiglia l’unica forza per imboccarla. Proprio questi due poli sono minacciati da una forza oscura che si annida nella fattoria dei genitori di Louise (Marin Ireland) e Michael Straker (Michael Abbot Jr.), due fratelli che decidono di tornarci per assistere il padre in fase terminale ed aiutare la madre. Ma dal loro arrivo quel qualcosa semina terrore e morte. Sta quindi a loro decidere se restare per mantenere fede all’impegno preso oppure fuggire.
L’America interna, rurale, conservatrice apre ancora una volta le porte al soprannaturale; il distacco dalla città e dalla vita mondana non è quiete, bensì isolamento che rende piccoli e indifesi di fronte ai vasti spazi naturali, affascinanti quanto minacciosi. La visione orrorifica di Bertino è forse debitrice del mondo che Robert Eggers ricrea nel recente The Vvitch, ma è ugualmente precisa e spaventosa. L’andazzo è chiaro fin dall’inizio: l’atmosfera trasuda inquietudine già dalle prime inquadrature – come se l’orrore fosse già presente da prima che la vicenda iniziasse – la quale viene mantenuta fino alla fine, e questa è la prima differenza rispetto a tanto horror mainstream; la seconda è la riduzione al minimo del facile jump scare in favore di una sorprendente diversificazione di scelte visive più oculate, come presenze inaspettate viste o udite o inscenate per sottrazione, ombre indefinite, gore improvviso, voci modulate, cantilene e quant’altro. Tutto ciò permette allo spettatore di empatizzare una volta tanto con la protagonista anche quando è in lacrime.
La forza distruttrice così efficacemente mostrata non viene mai spiegata, ma soltanto si presuppone essere il diavolo (dai pensieri della madre, dal grosso teschio di capra appeso in casa). Tuttavia, Bertino sembra più sottilmente criticare una fede non genuina, che offusca la mente ed impedisce il vero bene e la cura del prossimo, sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare; tale da rendere l’uomo un gregge di pecore senza pastore, come quelle possedute dagli Straker. The dark and the wicked non lascia scampo, oltre a rivelarsi cinema di genere audace e scomodo, come probabilmente l’horror dovrebbe essere.