The Canyons – Paul Schrader
Uno dei film da circoletto rosso nel programma di quest’anno era certamente The Canyons, presentato fuori concorso da Paul Schrader, al Lido anche come presidente della giuria della sezione parallela di Orizzonti. Dall’autore delle sceneggiature di capolavori come Taxi Driver e Toro Scatenato e regista in proprio di grande talento ci si aspettava molto, sapendo anche che sarebbe stato l'esordio alla sceneggiatura di uno dei mostri sacri della letteratura americana degli ultimi vent’anni: Bret Easton Ellis. Ma il film delude senza mezzi termini, riceve pochi applausi dalla Sala grande e Schrader esce a piedi, quasi di corsa, con una faccia che è tutto un programma.
L’apertura è affidata a immagini di cinema ormai dismessi, nella desolazione delle immense periferie losangeline. Fotogrammi evocativi di un discorso sulla fine del cinema che si legano in maniera piuttosto debole con il successivo svolgimento. C’è un film comunque al centro dell'intrigo, il collegamento tra i tre protagonisti, la coppia formata da un miliardario annoiato (il pornodivo James Deen), produttore a tempo perso; la sua donna (Lindsey Lohan) e l’aspirante attore e amante di lei (Nolan Funk, visto in Glee). I tre classicamente si dispongono ad amoroso triangolo di personaggi tipici del sottobosco hollywoodiano: ragazzi di provincia col sogno di sfondare ormai in via di disfacimento e ricchi nullafacenti dalle velleità produttive e dalla vita inutilmente trasgressiva. Un thriller che prova a salire di colpi usando armi classiche come violenza e sessualità disturbata, ma che non riesce a uscire da una piatta banalità.
C’è tanto di Bret Easton Ellis in questo film, ma non c’è il meglio. La sua sceneggiatura, che ha grossi limiti per quanto riguarda la pura efficacia tecnica, attinge a piene mani a quel mondo del vuoto assoluto di Los Angeles che negli anni Ottanta dipinse in maniera magistrale nel suo clamoroso esordio Meno di zero. Un mondo di vacuità e noia, di trasgressione fine a se stessa, di velleità senza basi sensate, di violenza gratuita e fredda. Proprio in questo senso si spiegano le scelte di casting, che appaiono quasi disinteressate all’effettiva efficacia delle interpretazioni, sicuramente non buone.
James Deen è uomo dalla bellezza crudele e dal machismo arido, una maschera che non copre nulla, freddo vuoto nello sguardo che vorrebbe inseguire l'inarrivabile esempio del Christian Bale di American Psycho (il migliore adattamento di un soggetto di Ellis finora). Il suo rivale Nolan Funk è un pupazzo senza caratteristiche salienti, una tipologia umana che a L.A. dev’essere più comune dei fast food. E poi c’è lei, Lindsey Lohan, l’unica a portare qualcosa di dolente e vero nel film, un corpo in precoce sfioritura, una bellezza abusata dalla vita che ben si adattava al suo personaggio, ma che, purtroppo per lei, è biografia e non cinematografia.
Tutto molto poco all’altezza delle potenzialità delle menti creative coinvolte, la stessa regia di Schrader non brilla per niente. Si spera di rivedere presto all’opera sia Schrader che Ellis con qualcosa di meglio, magari non accoppiati visto che paiono funzionare parecchio male.