Prima di approcciarsi a Federico Albanese è facile farsi sovrastare dalla sua storia e dal suo curriculum, riempirsi la testa di rumore perdendo la lucidità di fondo che risulta essenziale ogni volta che bisogna scrivere e analizzare un prodotto musicale.
Milanese di nascita, Berlinese di adozione, fa parte del pluripremiato duo La Blanche Alchimie’ con Jessica Einaudi, scrive colonne sonore per film e documentari per poi essere acclamato dalla critica all'album d'esordio The Houseboat and the Moon’.
Poeta del piano, il compositore mostra un pedigree di tutto rispetto che può portare verso di lui una precoce ammirazione così come una quieta e sotterranea diffidenza, peso ineliminabile del talento.
Dopo aver ascoltato la sua seconda fatica The Blue Hour ho però realizzato che se esistessero le colonne sonore dei sogni probabilmente questo disco meriterebbe un posto di riguardo.
La cosa più sorprendente è che questo disco in sé musicalmente non ha niente di speciale o di classico. L'armonia dei brani non varia quasi mai, la tecnica pianistica esibita è basilare e di virtuosismi non vi è neanche un accenno, non si trovano grandiosità, epicità, esibizione o trame musicali intricate o complesse.
Tutto è basilare, minimale, necessario e per questo magnifico.
Con poche note di piano a fare da leitmotiv su un accompagnamento che varia tra pochi accenni di violoncelli, synth ed effetti il compositore riesce ad aprirci un mondo. Il tono dei pezzi è sempre soffice ed essenziale. Su un pianeta dove il rumore fa da padrone è ancora possibile trovare uno spazio di delicatezza.
Forse è questa la grande sensazione che emerge sentendo la seconda opera di Federico Albanese. Un senso di quiete in mezzo alla tempesta. Una quiete temporanea certo, mai completa, mai totale, però vera. Tredici brani che ci fanno rendere conto che la tristezza, il sentirsi blue, può mostrarci un posto dove fermarsi a riflettere, senza la fretta eccessiva che ci accompagna sempre. L'inquietudine rimane ma fa meno paura perché cullata da un profondo senso di dolcezza.
È facile e piacevole perdersi dentro brani come Time Has Changes, Migrants o Stellify, alla mente è concesso uno spazio per viaggiare senza limiti e quando la musica raggiunge questo obiettivo il tempo speso con lei non è mai sprecato.
The Blue Hour di Federico Albanese è un album da portarsi dietro nei giorni di pioggia e in quelli bui, una riflessione dolce e non scontata fatta di essenzialità, un momento di delicatezza necessaria in cui ognuno di noi ogni tanto dovrebbe sapersi fermare.