Le prime immagini in bianco e nero introducono Nie Yinniang (una bellissima Shu Qi), la quale ha da poco terminato l’addestramento per diventare una fredda assassina e combattere la corruzione dilagante tra le province dell’Impero cinese. Mentre il film si colora scopriamo che, tredici anni dopo, in seguito al fallimento di una missione, è accusata dalla propria maestra di essere ancora troppo legata a sentimenti umani che depotenziano il suo talento inarrivabile e così le viene imposta una punizione: tornare nei luoghi dove nacque e uccidere il cugino, l’uomo al quale era stata promessa sposa e di cui è ancora segretamente innamorata.
The Assassin è ispirato ai chuánqi (i racconti meravigliosi dell’opera cinese) della dinastia Tang i quali avevano spesso intrecci complessi e fantastici e larga enfasi era posta sulle emozioni e sugli elementi romanzeschi:
«Ho conosciuto e amato i chuánqí della dinastia Tang quando ero al liceo e all’università e ho sognato a lungo di trarne dei film. The Assassin è ispirato a uno di questi, Nie Yinniang, da cui ho preso l’idea drammatica di base. La letteratura di quel periodo è piena di dettagli di vita quotidiana, e in tal senso potrebbe essere definita realista. Ma per il film mi serviva di più, quindi ho passato molto tempo a leggere racconti e storie per familiarizzare con il modo in cui la gente mangiava e si vestiva nel nono secolo. Sono stato attento ai più piccoli dettagli». (Hou Hsiao-hsien)
Il film reca in sé anche influenze provenienti dalla tradizione dei Wuxia, la letteratura di cappa e spada cinese, ma la messa in scena è anomala. I combattimenti sono brevi, non frenetici, è versato pochissimo sangue e Nie Yinniang spesso rinuncia a infliggere il colpo di grazia, andandosene dopo aver mostrato la propria enorme superiorità. Ciò diventa un chiaro escamotage per sottolineare quanto al regista taiwanese interessa per davvero, cioè indagare i sentimenti del suo personaggio, mostrare l’indecisione che attanaglia un essere umano che, pur essendo un freddo e spietato assassino, rimane comunque tale di fronte all’amore.
Hou Hsiao-hsien ci regala delle immagini meravigliose, utilizza colori saturi e contrasti che diventano un piacere per gli occhi, muove la macchina da presa lentamente, per sottolineare la profondità e complessità del quadro e permettere a chi guarda di entrare a fondo nella storia attraverso la potenza delle immagini. Se la scelta del formato 4:3 può dare l’impressione di comprimere e contenere le bellissime immagini (che però allo stesso tempo si avvicinano in qualche modo alla pittura), l’autore taiwanese utilizza sapientemente il fuoricampo che va a sottolineare la presenza di un sottotesto (politico) che non ci è dato vedere, ma al quale si può arrivare in seguito a una riflessione più approfondita.
Ancora una volta un esempio di grande cinema di Hou Hsiao-hsien, premiato al Festival di Cannes per la Miglior regia e omaggiato dalla sezione Festa Mobile di questo Torino Film Festival 2015.