Procede il concorso principale del trentacinquesimo Torino Film Festival mantenendo un buon livello qualitativo e la varietà che da sempre contraddistingue la manifestazione. Nei giorni passati è apparso nei cinema sabaudi un film portoghese decisamente interessante: A fàbrica de nada, opera prima di Pedro Pinho, che mette in scena le vicende degli operai di una fabbrica che sta per chiudere e dell’impatto che i licenziamenti e la perdita del lavoro potrebbe avere sulla vita di queste persone, con ambizioni e interessi diversi, ma accomunati dalla stessa tenacia nel battagliare per tenersi quel posto di lavoro che in qualche modo gli conferisce stabilità e sicurezza. È un film relativamente lungo (177 minuti), ma mai pesante, che introduce lo spettatore nell’esistenza di ogni personaggio percorrendo diversi linguaggi cinematografici, passando con estrema naturalezza dal taglio documentaristico al dramma, sfociando in ironiche sequenze proprie del musical. Un esordio maturo che opera una riflessione sul capitalismo e la lotta di classe, dipingendo sapientemente la condizione di criticità nella quale versa il Portogallo di questi tempi.
Festa mobile si conferma la sezione più varia e articolata del Torino Film Festival, proponendo opere più commerciali e meno ricercate di altre sezioni (vedi After Hours e soprattutto Onde), ma pur sempre di grande qualità. In questi giorni si sono distinti due registi molto affermati, ma mai deludenti: Julian Temple (uno dei più grandi amici del TFF, secondo solo al giapponese Sion Sono) e Joe Wright. Il primo porta sullo schermo la figura di Graham “Suggs” McPherson, cantante della leggendaria band ska Madness, con cui infiamma i palchi di mezzo mondo dal 1977 nel film My Life Story, prendendo le mosse dal musical diretto da Owen Lewis, al quale ha aggiunto materiale d’archivio, momenti dal vero e animazione, ottenendo un film esilarante, spettacolare ed estremamente divertente, grazie alla valorizzazione dell’istrionismo e della sapienza comica di Suggs, vero e proprio animale da palcoscenico. Temple, da sempre interessato a raccontare la storia della musica, riesce una volta di più a non cadere in quello che poteva essere un film scontato e tradizionale, che ha invece la brillantezza del suo marchio di fabbrica.
Joe Wright non ci regalerà emozionanti e bellissimi piani sequenza come quello della spiaggia di Atonement, ma trasforma un bravissimo Gary Oldman in Winston Churchill e gli fa affrontare le difficoltà legate all’avanzata tedesca e alla sfiducia che molti ebbero verso il suo operato in seguito alla sua elezione avvenuta perché unico candidato gradito dalle opposizioni. Darkest Hour tiene sullo sfondo le vicende di Dunkerque, già messe in scena nel film evento di Christopher Nolan uscito a fine estate, ma trattate da un punto di vista differente: sono assenti sequenza belliche e tutto si svolge tra Buckingham Palace, il 10 di Downing Street e le stanze sotterranee e claustrofobiche dalle quali si dirigevano le operazioni di guerra. Churchill è stato uno dei più grandi oratori della storia recente e Wright si focalizza proprio su questa sua grande caratteristica, esaltandone l’importanza e conferendo a tale abilità grande potere risolutore. Ci troviamo di fronte a un film ben confezionato, sostanzialmente privo di falle che riesce spesso e volentieri a divertire grazie ai tratti burberi e bruschi di Churchill, colti e restituiti magistralmente da un Gary Oldman già in odore di nomination ai prossimi Oscar.
Se si preferisce sorvolare sulla discutibile performance messa in scena nella sala 1 del cinema Massimo dalla guest director di questa edizione, Asia Argento, ci pare doveroso elogiare le scelte artistiche della sua sezione “Amerikana”, composta da 5 film, che restituiscono la personalissima visione che Asia ha dell’Amerika. Su tutti un grande film poco visto: Out of the Blue, pellicola del 1980 firmata Dennis Hopper. Lo stesso Hopper interpreta un uomo che, completamente ubriaco alla guida di un TIR, travolge uno scuolabus zeppo di bambini. Mentre sconta la sua condanna la figlia Cebe cresce assieme a una madre tossicodipendente che non riesce a starle dietro. E la scarcerazione del padre non farà altro che precipitare la situazione. Questa ragazzina è una forza della natura, incontenibile e tormentata, ossessionata da Elvis e da Syd Vicious, spaventata a morte dal genere maschile a causa di quegli individui che l’avevano abbandonata e ferita. Il microcosmo di Out of the Blue trasuda marciume, è un girone infernale popolato da mostri nel quale l’unica possibile soluzione sembra essere la distruzione totale.