Il nome di questa band londinese (che ha già un discreto pubblico in Gran Bretagna) potrebbe non dirvi nulla, ma fra qualche anno potreste trovarvi a qualche loro concerto. Il loro nome è chiaramente ispirato alla serie tv di David Lynch, Twin Peaks: i bookhouse boys erano una società segreta formata a Twin Peaks per combattere l’oscurità che circonda la città – i membri (fra cui alcuni poliziotti) svolgevano una sorta di ruolo di vigilantes.
L’ottimo omonimo album di debutto, dove si ritrovavano molto le atmosfere lynchiane miscelate al prog-rock pomposo orchestrale, la dark wave e le sonorità western, è stata davvero una rivelazione e un piacere per le orecchie. La descrizione trovata su una webzine inglese riflette perfettamente ciò che sono: the brimstone doom of Nick Cave, the euphoria of Arcade Fire, the drama of Muse, the movie-noir of Howling Bells, the National Theatre’s costumes department and the liquid contents of a bourbon distillery.
Il gruppo è formato da otto componenti (nove, se consideriamo il violinista Johnny Flynn) che rendono gli arrangiamenti molto elaborati e variegati. La voce del cantante e il chitarrista Paul Van Oestren è profonda, abissale e calibrata (ogni parola pronunciare può risultare una pallottola conficcata nel cuore), e si incastona perfettamente con la voce femminile e sensuale di Catherine Turner. Fondamentalmente la direzione che prende questo album è la stessa del loro debutto musicalmente parlando anche se il risultato è più claustrofobico, tirato e misurato mentre gli arrangiamenti sono decisamente più curati.
Si parte con Gone che mette subito i brividi: strumentale ed essenziale la prima parte e incredibilmente inquietante la seconda con la voce di Paul tagliata dai vocalizzi di Catherine. Il singolo Guns Like Drums è uno dei pochi pezzi veloci dell’album (con echi leggeri di post-punk) che richiama molto Dead del primo album ma con le linee di basso molto più presenti e che rimanda ai Muse di Origin of simmetry e ai Joy Formidable. Intro acustico con la voce di Catherine per uno dei migliori pezzi dell’album, To Forgive, poi la trasformazione con la batteria più violenta, l’inserimento delle trombe e richiami alle sonorità maestose di Morricone. Finale nervoso e teso: piccolo capolavoro.
A Faded Rose è un altro pezzo arrembante e nelle strofe ricorda molto i primi Queens of the Stone Age con le trombe e il perfetto sincronismo tra le voci a mettere la ciliegina sulla torta. Little Girl è una ballata dark-folk (in questo pezzo si sente forte la presenza di Nick Cave) davvero impressionante, le voci si intrecciano cosi bene ancora una volta da evocare l’immagine di una coppia affiatata che si da ai piaceri del sesso.
Ennesimo richiami di post-punk in They Will Not Depart con un finale esplosivo ed inacidito che stordisce l’ascoltatore: un vero orgasmo. Catherine Turner ci concede la sua miglior performance vocale nel pezzo meno convincente del disco, Fever Lullaby, dove le trombe in questo caso risultano troppo invadenti (unica pecca del disco). Trombe invece positivamente protagoniste nella successiva Cold Crazy Eyes che parte lenta e poi si scatena con una vera e propria rincorsa fra gli strumenti (anche qui i richiami cinematografici non mancano).
With you dimostra come il gruppo dia il meglio di se nei pezzi più lenti e oscuri: altra traccia da annoverare fra le migliori del disco (vi consiglio anche di vedere il video) e il plauso va ancora una volta alle due voci. Infine, dopo un breve intro strumentale, c’è l’altro capolavoro dell’album, la solenne e apocalittica History: le atmosfere diradanti, l’inquietudine, un incubo ad occhi aperti che riesce a far vibrare per tutta la durata della canzone (e forse questo è il pezzo che riassume tutte le influenze del gruppo).
Con questo secondo album i Bookhouse Boys entrano di diritto nella lista di quelle band che forse non avranno mai il successo che meritano (anche se a mio parere, almeno in Europa faranno il botto fra qualche anno), ma che verranno ricordate per la grande qualità dei loro dischi e per l’eccezionale capacità di smuovere l’anima e far venir fuori la nostra parte oscura, il nostro dark passenger. Fra i migliori lavori dell’anno.