Scricchiolano i cristalli tra le assi dell’India; strillano sordi, come grani di un rosario infranto. Il solco che corre lungo la scena di Taglio Cesareo riluce in un rivolo di vetri, e già penetra un dolore senza ritorno: ciò che è spezzato, è perduto.
In occasione della XIII edizione di Corso Polonia Festival della Cultura Polacca a Roma , l’ex capannone di Mira Lanza ospita Cesarskie Cięcie del gruppo internazionale Teatr ZAR, il cui sottotitolo recita per l’appunto Próby o Samobójstwie, Prove sul suicidio. Entrando in sala il pubblico viene accolto lungo i tre lati della scena, ma già l’aria è tesa, a pochi passi dal proprio posto un metronomo rimbalza gli sguardi da una sedia all’altra: sul palco musicisti e performer si irradiano lungo il perimetro, come a circondare quello spacco duro che segna nel legno una frattura insanabile.
Taglio Cesareo (direzione e ideazione Jarosław Fret) è una performance totale in cui le distinzioni di categoria cadono, a dominare è l’atmosfera. Dura, cupa, selvaggia, non teme di sfregarsi con quegli stessi frammenti di vetro che attendono al centro come uno Stige; i corpi si assalgono, si dilaniano, si macchiano, ma ogni volto a sopravvivere è il controcanto di un respiro ansante, un ultimo soffio che annaspa tra la passione della vita e l’affanno della morte, proprio come suggerisce la costante presenza del vino che si fa sangue versato che inebria.
E a trasportare gli spettatori già stregati dell’India in questo breve ma intensissimo teatro-danza del dolore quasi un Café Müller di carne, in cui per quarantacinque minuti l’inciampo bauschano diventa sentenza di morte è l’imprescindibile coro di archi, fisarmoniche e voci che in una polifonia di canti dal sapore còrso (v. ascolto consigliato) amplifica la dimensione universale di un dramma apparentemente solo individuale quale è il suicidio.
Si crea così una cassa di risonanza esistenziale che prescinde dal tempo, in cui cioè ogni spettatore può ritrovare echi di tragedia antica e alienazione moderna, perché la tensione all’autodistruzione è una condizione che da sempre accompagna l’uomo (non a caso alla base del lavoro sono le suggestioni dal Sisifo di Camus).
Non poter vivere secondo natura.
Incidere un ventre che non sa procreare.
Recidersi l’esistenza.
Ciò che è spezzato, è perduto.
Taglio cesareo, uno spettacolo di rara dolorosa bellezza.
Ascolto consigliato
Teatro India, Roma – 17 giugno 2015
In apertura: Foto ©Lukasz Giza