Swallow
Un thriller/horror psicologico affilato e pungente come un chiodo che racconta l’emancipazione di una giovane donna.
La vita di Hunter (Haley Bennett) sembra perfetta, è sposata con un uomo di buona famiglia, ha una bella casa e tanto tempo libero. Ma questo felice quadretto non è così limpido come appare: il marito è un maschilista possessivo, mentre la grande e lussuosa dimora, spesso vuota, è una gabbia di vetro in cui risuona l’eco della solitudine di Hunter. Intrappolata dietro le ampie e linde finestre, la giovane donna veste a fatica i panni della brava moglie che, come una casalinga anni ’50 (con tanto di caschetto biondo sempre curato, gonne lunghe e camicette sfiziose), deve vivere in funzione del suo sposo. L’unica gioia di Hunter è relegata a piccoli momenti in cui dà sfogo alla sua ossessione pica (lo annuncia anche il titolo), ingoiando gli oggetti più disparati: prima una biglia, poi una puntina, un sasso, una batteria, carta, terra.
Swallow è il primo lungometraggio del newyorkese Carlo Mirabella-Davis e racconta il processo di emancipazione di una donna costretta a seguire regole dettate per lei da altri. E questa graduale liberazione passa attraverso una metamorfosi fisica: mentre Hunter scopre di essere incinta (un figlio era il tassello mancante al ritratto della perfetta famiglia borghese), prova a riaffermare, con il picacismo, un sinistro controllo sul proprio corpo, oggetto (e risultato) di manipolazioni, aspettative e violenze patriarcali. Il regista guarda verso l’horror ma riduce l’effetto gore a un taglio sottile, come quello provocato da un piccolo chiodo appuntito, che produce un fastidio continuo e pungente. E poi scoperchia la psiche in subbuglio di Hunter, incarnata da una convincente Haley Bennett, sempre composta e pacata fino a quando, con quel nome che evoca qualcosa di feroce e istintivo, finalmente non si ribella. Attorno a lei l’atmosfera è fredda e asettica, mentre la sua bella prigione trasparente (la casa ricorda un’altra elegante trappola: la villa ipertecnologica dello stalker invisibile nell’ultimo film di Leigh Whannell) si restringe e diventa claustrofobica come l’appartamento di Repulsion.
Con la sua opera prima, Carlo Mirbella-Davis propone un thriller/horror psicologico che è anche un percorso di formazione. E mentre una grazia gelida (negli ambienti, nella forma) schiaccia la protagonista, il suo animo combattivo spezza le sbarre della gabbia in cui vive e, come l’eroina del già citato L’uomo invisibile, lascia la scena trionfante, pronta ad abbracciare la sua nuova libertà.