Come si inizia? Uno si guarda attorno, stanco, provato, demotivato, e si chiede “Ora dove trovo la forza per ricominciare?”. No, non è una citazione da ricci/forte né una parafrasi del loro spettacolo del 2013, ma la domanda di molti, forse tutti, di quanti si trovano alle prese con la vita e non sanno come fare per andare avanti. E allora proviamo a partire da qui, da ciò che accade dopo quell’inizio mancato.
Come suggerisce il titolo, Still life non è una storia, è un’istantanea, una “natura morta” (ma stavolta l’inglese è di gran lunga preferibile), una condizione statica, una condanna (?) da cui cinque individui evadono almeno per un attimo, scatenando tutti i sentimenti furiosi che si nascondono in quella fotografia immobile. La fotografia di chi? La fotografia di noi, della nostra Italia, del nostro stare qui, di quel vivere che non sa mai se sia cominciato oppure se stia già sbiadendo.
A comporre questi innumerevoli quadri tre uomini (Gomiero, Sartori, Scolletta) e due donne (Gualdo, Laera), fra di loro il mostro della discriminazione di genere, la distruzione della diversità, la violenza collettiva sull’altro. Spaccati di quotidianità che i cinque infaticabili attori portano letteralmente a esplodere di fronte al pubblico: emarginazione, disperazione, alienazione.
“Piccoli suicidi tra amici”, giochi innocenti che si trasformano in grottesche lotte di affermazione, proprio come quella vita in cui ci si ritrova calati da protagonisti involontari, sprofondati sotto il peso della croce democratica della nostra contemporaneità, vale a dire il potere, che tutti prendono e tutti perdono, ma che nessuno comprende, perché nessuno “può” davvero. Vittime e carnefici in fondo sono legati da uno stesso male comune, che uccide i primi e abbrutisce i secondi: nessuno sa chi sia, cosa fare (non “come reagire”), da dove cominciare.
Così, la parola cede posto alla veemenza del gesto (movimenti Marco Angelilli): sul palco spoglio le trovate sceniche si accumulano sempre di più finché poco a poco straripano sul pubblico stesso che da osservatore curioso si riscopre parte compresente dell’enorme affresco sociale di autodistruzione, per giungere infine a prendere parte attivamente a questa natura morta.
Che la creazione di Gianni Forte e Stefano Ricci funzioni è indubbio, eppure di espediente in espediente Still life sembra perdere di efficacia disperdendosi in una costellazione di pillole morali che hanno la stesso effetto collaterale di facebook: lo spettacolo si trasforma in una sorta di bacheca piena di post che colpiscono, emozionano, convincono – “piacciono” – ma giusto il tempo di passare a quella dopo per poi, una volta chiuso, dimenticare tutto quanto.
Cosa rimane, allora, se nulla comincia? Il contributo di ricci/forte è sicuramente necessario alla scena italiana però non sembra avere la potenza di una proposta. Di commentatori, ritrattisti, analisti del male contemporaneo ne stiamo formando molti, ma chi riuscirà ad avere la saggia umiltà per cominciare a costruire – partendo magari proprio da quelle stesse rovine?
Teatro India, Roma – maggio 2015
In apertura: Foto di scena ©Nene Malingamba