L’aridità come difesa
All'Orologio 'Sterili' di Berardelli, Premio Riccione 2009
Accade in continuazione di assistere al mistero di vite altrui: sui mezzi pubblici, nelle sale d’aspetto, per strada; fili invisibili di esistenze diverse che si intrecciano, idealmente, in un percorso condiviso, per poi riprendere il proprio cammino nella più totale indifferenza. Ma cosa succede quando in teatro può essere finalmente svelato il segreto di queste vite sempre sfiorate e mai conosciute?
È il giorno di Natale, la città è semi-deserta, e come potrebbe essere desolato il paesaggio urbano nei giorni di festa così è al teatro dell’Orologio: unico segnale di scenografia la linea gialla di sicurezza di una banchina della metropolitana. È proprio questo lo spunto da cui ha inizio Sterili di Maria Teresa Berardelli Premio Riccione 2009 per la regia di Camilla Brison: raccontare il tratto di vita di cinque persone che si ritrovano casualmente insieme ad aspettare la metro. Ci sono due sorelle (Diletta Acquaviva e Irene Lamponi), marito e moglie (Cecilia Cinardi e Beppe Casales) e l’amante della moglie (Francesco Ferrieri).
Un rapporto fraterno e due relazioni sentimentali dunque, sviscerati nelle loro falle, nelle fratture e negli incidenti di percorso. Ecco che l’attesa stimola la confessione, fa vacillare certezze, mentre il clima natalizio amplifica rancori sopiti: emerge così il rapporto irrisolto fra le due sorelle, trascinato negli anni; un legame matrimoniale ormai logorato dal tempo; e quello più passionale degli amanti che trae linfa vitale soltanto dal suo divieto. Sterili sono allora le relazioni perché non riescono a generare affetto senza la tentazione di distruggersi a vicenda; e sterili sono le parole, perché invece di unire pongono ulteriore distanza, arginano ostacoli, creano difese per continuare a non conoscersi, a mentire.
Parole che non celano, che hanno bisogno di dire tutto segreti, recriminazioni, desideri ormai non più così certi eppure asciutte, intense, forse anche troppo, perché rischiano di relegare il testo in un’area isolata deputata alla sofferenza che non lascia molto spazio a tante altre sfumature se non qualche flebile vena ironica negli intermezzi marito-amante. Dietro la semplicità solo apparente di queste parole, tuttavia, si avverte sempre una vibrazione straniante per questo sembra coerente la scelta di un’interpretazione sobria in cui spicca, per maturità espressiva, il triangolo Cinardi-Casales-Ferrieri, rispetto al quale il duo Acquaviva-Lamponi appare ancora un po’ acerbo come se nelle pause e nei silenzi ma anche dentro le parole stesse si intravedesse un abisso senza fine:è il segreto dell’altro e della sua alterità; è l’impossibilità di capirsi, di amarsi, di stabilire una comunicazione piena nell’inafferrabilità dei sentimenti e della vita stessa.
Nonostante il finale risolto in maniera un po’ frettolosa se si pensa alla complessità dei legami messi in campo (ci saremmo aspettati addirittura un terzo atto per dare maggiore coesione al tutto) , e nonostante le storie raccontate appartengano a una quotidianità un po’ usurata e non particolarmente originale, il rischio della banalità è arginato da un testo che tiene il pubblico incatenato alla tensione incombente delle sue parole centellinate, dense e sofferte gettanti luce su scorci di vita metropolitana che ogni giorno si sfiorano, in silenzio. Sterili è così un affondo in solitudini parallele che cercano disperatamente di aprirsi all’altro, abbattendo quelle difese che, a lungo andare, portano ad appassire.
Ascolto consigliato
Teatro dell’Orologio, Roma – 6 aprile 2016