StellaStrega
Coraggiose e sperimentale. Lasciatevi travolgere da questa furia.
Dal cadavere di Alienween, nasce StellaStrega (2018) una fiaba grottesca e macabra raccontata con quel velo di ironia innocente, satira e disincanto. Un horror puro, ricchissimo di spunti stravaganti e con un senso dell’umorismo di prima classe. Il vecchio e il nuovo, il rosso (sangue) e il nero.
L’efficace storia è composta da pochi elementi: l’occulto; una misteriosa epidemia, virale come quei video dei gattini; una serata tra amici a base di droghe e puttane; la catastrofe inaspettata che porterà alla redenzione. Improvvisamente, una pioggia di comete stregate costringerà una strampalata ciurma di perdenti casualmente assemblata a lottare per la sopravvivenza e scavare nell’oscuro del proprio inconscio. Partendo da un canovaccio consolidato, il film abbandona presto i binari prestabiliti e la destinazione sarà l’ignoto. Il ritmo è vorticoso e tra violenza, sesso, marciume e filosofia di strada è impossibile controllare l’euforia. La sceneggiatura e la regia, sempre squisitamente sopra le righe, sono plasmate sui film di Joe Dante, Sam Raimi e del nostro Lamberto Bava. Il risultato è un luna park in putrefazione, stracolmo di citazioni ad una cultura cinematografica di genere a cui oggi si guarda con una certa nostalgia e ammirazione. Parafrasando gli Spinal Tap è sempre un “Up to 11”, una ricerca di un’estetica dell’eccesso che il regista Federico Sfascia sa coordinare e valorizzare come un rockers navigato riesce a controllare e far eccitare un pubblico urlante in un’arena.
Sperimentale e non sense, spettrale e tetro nell’apocalittico finale, il film manifesta nel suo avanzare una scatenata visionarietà tanto che il cotè degli effetti speciali sembra essere lo stesso del cult Hausu di Nobuhiko Obayashi. Una girandola di irrefrenabile febbre di inventiva splatter ed effettistica fatta in casa. Stella Strega è in Italia lo stato dell’arte per il genere horror/sci fi a basso budget. Un inno d’amore al cinema artigianale, fatto con grande passione e gusto estetico. Una speranza per la ricostruzione di uno stile (anche produttivo) di fare cinema, in un genere dove, da Bava padre fino al Dario Argento di metà anni ’80, eravamo un punto di riferimento mondiale.