I film su 007 si possono catalogare in due differenti e totalizzanti modi: o si prendono come un magnifico divertissement fine a se stesso, nel quale, uomini rotti alla vita, forzuti e tutti d’un pezzo si baloccano con i giocattoli più costosi che un uomo maturo possa permettersi, ovvero macchine di lusso, donne mozzafiato e viaggi extra continentali; all'altro lato c'è la passione e la fedeltà ad un genere che possiamo, genericamente, definire come spy-story, il quale dalle pagine di Ian Fleming (recentemente pubblicato da Adelphi tra l'altro, giusto per certificare lo status di autore rilevante nelle cose letterarie) viene tradotto sul grande schermo.
Va detto quindi che questo Spectre di Sam Mendes con Daniel Craig, Cristopher Waltz, Léa Seydoux, Ben Whishaw e Monica Bellucci appartiene, a pieno titolo, al primo filone. Già perché la storia messa in piedi dal regista messicano e dagli sceneggiatori John Logan, Neal Purvis, Robert Wade, Jez Butterworth è quanto di più trito, poco compatto a livello di suspense e tensione narrativa e carente della, quasi sempre, classica adrenalina delle avventure dell'agente segreto al servizio di Sua Maestà che vi possa essere. Certo si è parlato molto, soprattutto al momento del rilascio del trailer ufficiale, di un James Bond tornato alle origini, dato che in questo capitolo sfoggia una fiammante Aston Martin dotata di tutti gli ammennicoli tecnologici del caso, ma il dato che più emerge dopo quasi le tre ore di proiezione è quello di un film dove la forma supera nettamente la sostanza .
Spectre, sorta di silloge degli episodi firmati dalla coppia Sam Mendes Daniel Craig, parte a Città del Messico, dove James Bond, dopo una delle più belle scene del film, ovvero la parata del Día de Muertos, viene trascinato in un continuo girovagare per il Pianeta: da Roma alle Alpi austriache, dalla soffocante Tangeri al deserto marocchino, passando per la inevitabilmente uggiosa Londra.
L'agente segreto è impegnato a scoprire chi sieda al vertice dell’organizzazione terroristica mondiale Spectre e per farlo dovrà scavare nel suo passato. Quindi una storia classica che, nel suo svilupparsi, presenta tutti gli antagonisti principali dei film precedenti di James Bond tanto che più di un fan ha ipotizzato di una sorta di canto del cigno per il biondo attore britannico e per il regista. Sta di fatto che la storia non ha praticamente pathos e si riduce ad un continuo, come abbiamo già avuto modo di sottolineare prima, zigzagare per continenti e, splendidi, diversi orizzonti.
La camera di Mendes è abile a descrivere in maniera spettacolare e magniloquente gli scorci più suggestivi di Roma (incredibile un dolly su di una casa patrizia) e del deserto marocchino (largo uso delle riprese effettuate con i droni) ma non riesce, al contrario dello Skyfall di tre anni fa, a dare profondità al personaggio. Infatti 007 appare quasi sempre più che il protagonista di un film, di un film in cui tensione e azione dovrebbero farla da padrone, come il protagonista di uno spot pubblicitario, di quale prodotto, se di una macchina, di un orologio o di un completo firmato, ha poca importanza. Se, soprattutto in Italia, è stata molto strombazzata la presenza di Monica Bellucci, presentata come la Bond Girl matura e consapevole di sé, a conti fatti, nell'economia della storia, il suo peso è decisamente irrilevante.
Forse, se proprio si debbono trovare dei lati positivi di questo film, costato circa 200 milioni di sterline (quasi 270 milioni di euro, cioè il film più costoso della serie) lo si può fare citando, sicuramente, l'incantevole bellezza di Léa Seydoux (quando si presenta sul treno partito da Marrakech fasciata in un abito da sera i giudizi di merito si sospendono e non si può far altro che ammirare, a bocca aperta) e alcuni momenti, pochi a dire la verità, da cattivo pazzo, freddo e scatenato di Christoph Waltz. No, questa non è la fine di James Bond ma, nonostante il ritorno della celebre battuta Il mio nome è Bond James Bond, questo Spectre è un patinatissimo e troppo lungo trailer di quasi tre ore.