Sonate Bach, per non dimenticare il dolore
L'etica della danza di Sieni fra orrore e bellezza
Il dolore è muto ma possiede un movimento. Scorrono nell’assoluto silenzio i primi secondi di Sonate Bach di fronte al dolore degli altri di Virgilio Sieni, prima che la musica di Johan Sebastian deflagri sul pubblico come un ordigno inaspettato. Eppure in quel silenzio, forse, è già racchiusa l’essenza dell’intero spettacolo: perché il coreografo fiorentino si imbatte in un compito delicato, impossibile e insieme di grande spessore umano e artistico: raccontare il movimento del dolore quello della guerra, delle stragi terroristiche e dei genocidi attraverso la danza.
Jenin, Sarajevo, Kabul e ancora Tel Aviv, Srebrenica, Istanbul, Gaza sono le scritte asettiche che risaltano inquietanti nella penombra a scandire l’inizio di ciascuna delle coreografie, accompagnate dai movimenti delle tre sonate di Bach per pianoforte e viola da gamba. Un cortocircuito suggestivo fra la complessità armonica della musica del compositore tedesco e il rosso della guerra, dei soprusi, delle vittime, della morte.
Undici date-chiave su cui vengono modellate altrettante coreografie dalle quali riemergono i dettagli di una memoria collettiva sopita e rivissuta nei corpi dei quattro danzatori (Giulia Mureddu, Sara Sguotti, Nicola Cistemino, Jari Boldrini) in veste quotidiana (costumi Giulia Pecorari e Giulia Bonaldi), che non tradiscono, però, nessuna appartenenza spazio-temporale: creature preposte a contrassegnare l’umanità intera, danzano ora in assoli, ora in passi a due, terzetti o corali alla ricerca di sé stessi tra le macerie di un’impossibile purezza del gesto pur nell’orrore della guerra.
Volti feriti, corpi straziati fra case distrutte, madri che piangono i propri figli, mani che invocano un Dio assente, uomini che tengono fra le braccia corpi senza vita. Arti disarticolati, mutilati, lacerati. E allo stesso tempo non c’è traccia di tutto questo. C’è un gesto quotidiano, riconoscibile, universalmente noto ispirato alle immagini della cronaca nella grammatica compositiva di Sieni ma che pure si perde nel flusso organico di un movimento lucido, rigoroso e razionale che non cede mai a una facile pornografia della sofferenza ma al contrario mantiene una grazia e un pudore capace di trasfigurare il dolore nella sua forma più essenziale e scarnificata, esplorandone le componenti invisibili negli interstizi di un silenzio vuoto che segue il pieno della musica.
Inesprimibile orrore e lancinante bellezza, dunque, convivono in stato di grazia nella danza di Virgilio Sieni che come in uno specchio ci restituisce il volto impietoso di un presente sconquassato da tragici conflitti, mai come ora così attuale; tracciando idealmente uno spettacolo che in modo agghiacciante dà l’impressione di prolungarsi all’infinito.
Undici coreografie che sono un unico gesto di umanità, sofferta e attonita, di fronte all’implacabilità della guerra. E undici date che in realtà ne scrivono una sola, impossibile da definire, perché quella di un dolore umano universale.
Sonate Bach approda così a una dimensione profondamente etica della danza, innestando una riflessione su come restare umani nonostante la disumanità della violenza, invitando a custodire la memoria per non dimenticare un passato che coinvolge tutti; a non rimanere indifferenti ed estranei di fronte al dolore degli altri, perché è prima di tutto il nostro.
Letture consigliate:
• Autunno/Primavera – Virgilio Sieni | Butterfly Corner, di Manuela Margagliotta
• Danzare all’origine dell’uomo: ‘Le Sacre’ di Sieni e la necessità del sacrificio, di Sarah Curati
Ascolto consigliato
Il Giardino Ritrovato, Palazzo Venezia, Roma – 4 luglio 2016