Somewhere – Sofia Coppola
Johnny Franco è una star di Hollywood prossima ai quaranta. Vive in un albergo ad L.A. pieno di ragazze simpatiche, beve, fuma, fa dei giri in Ferrari, ogni tanto vede la figlia undicenne che vive con la madre. A volte, se proprio deve, lavora. Quando la bambina è costretta a rimanere da lui per qualche giorno in più i due provano a stabilire finalmente un rapporto profondo.
Sofia Coppola non si discosta dai temi a lei più cari e dopo Lost in Translation e Marie Antoinette mette ancora in scena lo spleen delle stelle. La vuota quotidianità priva di senso di chi dovrebbe avere tutto, almeno secondo gli stereotipi dei comuni mortali. Eccoci di nuovo in un albergo (il leggendario Chateau Marmont, dove morì John Belushi) con un uomo che beve da solo, che si guarda alla specchio e non riesce a distinguere i propri tratti. E una donna bionda che prova a comunicare. Il rapporto con la figlia migliora attraverso le piccole cose, i gesti della quotidianità (a cominciare banalmente dai pasti) e proprio mentre cresce l’affetto tra i due ecco venire allo scoperto nell’uomo la consapevolezza del proprio fallimento.
La regista orchestra alla perfezione il film intorno al suo protagonista, lo isola nella sua desolazione e il suo girare a vuoto con uno straordinario gusto per la composizione del quadro: una macchina che fa giri di pista nel deserto; una bambina che nuota su e giù in una piscina troppo piccola; Valeria Marini che gli si struscia addosso in un ributtante stacchetto del genere che ben conosciamo. Un tocco leggero pervade tutto il film, mai stancante nelle sequenze mute grazie alla capacità delle immagini di creare senso e di infondere in tutto il film uno sguardo ironico. Stephen Dorff pur non avendo il carisma e l’autoironia di Bill Murray è perfetto nella parte dell’attore bello e un po’ inutile, con la pancia da birra e l’ossessione dei paparazzi.