Eli e Vale (Isabella Ragonese e Eva Grieco) sono amiche da tanto tempo, vivono nello stesso palazzo sul litorale romano. Hanno fatto scelte di vita completamente diverse. Eli è una donna che vive senza un attimo di tregua, ha 35 anni, un marito disoccupato, quattro bambini e una casa sulla Pontina a due ore di mezzi pubblici dal bar di Roma in cui lavora. Per lei ogni giornata è una battaglia, dalla sveglia alle 4 del mattino fino al ritorno a casa, a notte inoltrata. Vale invece, sua coetanea, è una danzatrice, vorrebbe danzare come espressione artistica, ma è costretta ad esibirsi in discoteche e night club.
Daniele Vicari si immerge nel quotidiano di questa italian working class con l’obiettivo di fotografare, senza intermediazione alcuna, la realtà che ci circonda. Lo fa tramite l’uso della camera a mano, riuscendo bene a seguire le vite delle due protagoniste, aiutato sicuramente dalla loro buona interpretazione. Se l’obiettivo è però quello di risultare il nuovo Ken Loach del cinema italiano siamo davvero lontani: scelte più coraggiose, magari rompendo schemi ormai imposti e obsoleti, avrebbero certamente reso il film assai più interessante e meno noioso, con una narrazione priva di veri picchi emotivi.
Abituato a frequentare i territori del cinema più politico (Diaz – Don’t Clean Up This Blood), Daniele Vicari fa questa sua personale incursione nelle difficoltà della quotidianità nella città di Roma e provincia. È però strano pensare che Sole Cuore Amore sia di quella stessa mano coraggiosa che ha diretto Diaz, soprattutto quando il folgorante testo della canzone di Valeria Rossi viene canticchiato da due ragazzini nel bar in cui la protagonista lavora.
La pellicola potrebbe anche funzionare, soprattutto grazie all’ottima prova di pura passione fornita da Isabella Ragonese, che prende sulle sue spalle la storia con grande dedizione. Il limite di Sole, cuore, amore sta però nel suo voler dire troppo. C’è certamente una forte critica al mondo del lavoro di oggi, ma si dipinge in maniera forse esagerata il rapporto squilibrato fra lavoratore e “padrone, rendendo la pellicola dura e a tratti angosciante. Forse con un briciolo di ironia in più, la tematica trattata, di per sé scottante, avrebbe reso di più, valorizzando a tal fine il talento di Francesco Montanari (marito di Eli), che avrebbe meritato più spazio. Ciò che risulta alla fine è un film eccessivo, ma è anche vero che esaspera una situazione che purtroppo esiste, un problema reale.
Spezzando comunque una lancia verso quel cinema civile, considerato come categoria, il fatto che ci sia qualcuno come Daniele Vicari che ancora prova a farlo porta comunque a difenderne le istanze di fondo.