La psicologa infantile Mary Portman (Naomi Watts), dopo l’incidente stradale che ha ucciso il marito e reso paralitico il figlio Stephen (Charlie Heaton), deve occuparsi di quest’ultimo. La vita di Mary scorre tranquilla nella sua casa (ovviamente isolata dal resto del mondo) nonostante il dolore per la condizione del figlio. La routine di Mary viene sconvolta quando si ritrova in casa il piccolo Tom (Jacob Tremblay), un bambino sordo che aveva in cura; le cose peggiorano quando Tom scappa dalla casa di Mary ma la donna continua a vederlo come se fosse un fantasma.
Una grande casa lontana da tutto e immersa nella neve, una bufera in arrivo, una psicologa provata da una situazione familiare tragica, un bambino inquietante, strane apparizioni e un segreto da scoprire. E, dimenticavo, una lullaby macabra e il colpo di scena finale. Sono questi gli elementi (tutti già visti, rivisti, stravisti) che il regista britannico Farren Blackburn adotta per realizzare il thriller Shut In.
Oltre a riproporre i soliti ingredienti, il film è pieno di stonature: la tensione è inesistente e il primo indizio in questo senso è l’elevato numero di jump scares, espediente del genere thriller e horror utilizzato in dosi massicce quando le idee sono poche e la capacità di mettere angoscia è scarsa. Lo sviluppo è decisamente poco originale (ricorda vagamente il recente e altrettanto non riuscito The Boy) e la sceneggiatura è scialba (colpevole questa volta non è il regista, ma la sceneggiatrice Christina Hodson).
Il cast, elemento di richiamo per il pubblico, sembrava promettere bene: Naomi Watts recita senza troppo entusiasmo la parte di Mary in preda al panico a causa di incubi notturni e di una situazione soffocante; le potenzialità attoriali del piccolo prodigio Jacob Tremblay (acclamato soprattutto per Room), qui privato della voce, non vengono sfruttate; Charlie Heathon, reduce dal successo della serie tv Stranger Things, si limita a sguardi inquietanti e uno scoppio di follia da manuale nella parte finale.
Un film deludente, in sintesi, che proprio alla fine mostra il peggio: una bufera che circonda la casa, una donna e un bambino in pericolo, un pazzo armato (il martello sostituisce l’accetta di Jack Torrance, che fantasia!), un aiutante che cerca di impedire la tragedia ma viene messo k.o. e una fuga sulla neve, con tanto di escamotage delle impronte per depistare il nemico. Shut In tocca qui il suo punto più basso, citando uno dei capolavori della storia del cinema, niente meno che Shining.
Nonostante il buon cast e la promessa (mancata) di un thriller se non originale quanto meno adrenalinico, Shut In non convince quasi mai. E l’unico a essere davvero intrappolato è lo spettatore dentro il cinema dove l’unica via di fuga sono i titoli di coda.