Il rischio della sottrazione
A Teatri di Vetro debutta il nuovo lavoro di gruppo nanou
«Quando avrete fatto (all’uomo) un corpo senza organi
L’avrete liberato di tutti i suoi automatismi
E restituito alla sua vera libertà.»
“Corpo senza organi” si legge nelle note di regia di Senza titolo per uno sconosciuto di gruppo nanou e il pensiero va subito all’Artaud di Per farla finita col Giudizio di Dio (seguito subito dopo da Deleuze e Guattari). Corpo senza organi – afferma Artaud per la prima volta nella trasmissione radiofonica del 1947 – ovvero libero dalla sua zavorra biologica, riproduttiva, sociale: corpo anarchico e in rivolta, senza più uno scopo preciso, liberato dal giudizio di Dio e quindi da ogni condizionamento.
Corpo “pieno” e non mancante – continua Deleuze, semplificando all’osso – che si fa puro ricettore di desiderio, entità astratta libera di fluire, un campo magnetico di tensioni diverse la cui intensità è sempre sulla soglia della distruzione.
E certo questo concetto di libertà dei corpi (ma non di anarchia) chi può riguardare se non la danza? Sicuramente si modella bene su quella di Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, che a Teatri di Vetro presentano la loro nuova creazione.
Senza titolo, ovvero ripartire dal grado zero: essere senza peso e gravità, senza un inizio e una fine, senza un baricentro corporeo o drammaturgico: lasciare che i corpi siano liberi di vorticare o strisciare nello spazio, esplorare linee e geometrie simmetriche o astratte, cercare il contatto con gli altri o tagliarsi la strada, assumere pose animalesche o come in cerca di qualcosa che non sappiamo.
Al centro del palco avvolto nell’oscurità sottili strisce bianche orizzontali, come i raggi di luce che si intravedono dalla finestra di una stanza chiusa, claustrofobica. Uno spazio inconscio che connota una dimensione fortemente onirica. E come prolungamenti naturali di questo spazio spunteranno i danzatori in una tenuta sportiva dai colori netti e contrastanti, abbandonando così una dimensione più “umana” e facendosi essi stessi pure chiazze di colore, ora danzando in assoli o in due, o tutti e tre insieme (Sissj Bassani, Rhuena Bracci, Marco Maretti) e utilizzando il corpo come una mappa geografica vuota senza luogo e senza storia, come sembrano i rarefatti beat elettronici (suono Roberto Rettura) compenetrati nel movimento.
Eppure tutti questi “senza”, questa poetica della sottrazione e dello spaesamento che mette in fuga dal senso, dal corpo, da un’identità – e quindi dalla responsabilità di una definizione – rischia di intrappolare in una foresta di geroglifici senza via d’uscita: forse per l’accumulo di segni che si disperdono senza forgiarsi in una sintesi più incisiva, o per una qualità del movimento che nel rapporto “orizzontale” fra la geometria del corpo e quella dello spazio sembra percorrere linee di ricerca già superate (viene in mente, ad esempio, The Moebius Strip-Dance di Gilles Jobin del 2001).
Così, gruppo nanou lancia al suo primo “sconosciuto”, il pubblico, un messaggio nella bottiglia che, per quanto suggestivo e tecnicamente accurato, rimane pur sempre indecifrabile. Parafrasando Artaud, in questo caso «il corpo non è esploso».
• Baby doe, o il corpo che si fa memoria – Gruppo Nanou, di Sarah Curati