Sempre meglio della realtà – Daniele Titta
Sempre meglio della realtà: più che il titolo di un libro, una constatazione. Dopo esservi imbattuti nei nove racconti di Daniele Titta (CasaSirio Editore, marzo 2015), la realtà non potrà che sembrarvi limitata.
Attraverso uno stile che fa dei periodi brevi un elegante salvagente per i naufraghi del genere horror-futuristico, la lettura si trasforma in un’esperienza di puro godimento sadico-emotivo. Certo, si direbbe impegnativo ritrovarsi alle prese con lumache giganti che imperversano malefiche nell’intimità di una “vita normale” (“Traffico intenso tra Barberino e Roncobilaccio”), invasioni alieno-sataniche che assalgono la mente prima che il pianeta (“Distruggete Geenna”) o ancora, tanto per stare leggeri, il cannibalismo (“Il sogno del Delfino”). Eppure il nichilismo – che s’insinua in tutte le duecento pagine – rende ai racconti quello che la musica rende a un film: mentre scorrono i capoversi, sembra di cogliere delle immagini (per le quali ogni lettore può reclamare il suo diritto d’autore) mosse da paradigmi sonori, ora sussurri di violini a lutto (“Risacca”), ora gemiti e rantoli.
Senza mai eccedere, scartando con arguzia la trappola della trovata a effetto tipica del genere, Titta escogita un meccanismo iper-reale per esplicitare le pulsioni più recondite degli esseri umani: in alcuni frangenti sembra di essere finiti a leggere Dylan Dog, in un’atmosfera pesante ma fascinosa, dove la cupezza e il dolore diventano sensazioni gestibili, proprio perché, ferme lì sulla carta, appaiono distanti.
Alla fine però l’apparenza cede alla persuasione. Se quanto letto ci lascia liberi di disegnare con la mente i contorni del male, di quel dolore che tutti i giorni tentiamo di soffocare, allora davvero è sempre meglio della realtà.