Se la strada potesse parlare
Tratto dal romanzo di James Baldwin, una vigorosa storia d’amore nell’Harlem degli ’70.
Dopo il successo ottenuto con Moonlight (2016), Premio Oscar per il Miglior Film e Miglior Attore non protagonista per Mahershala Ali, con Se la strada potesse parlare, Barry Jenkins si conferma un maestro fiducioso nel suo mestiere e, tra entusiasmi che fanno pulsare il cuore, delinea un vigoroso e poetico ritratto della difficile strada verso l’emancipazione razziale e del desiderio straziante di un popolo intero (i Neri d’America) di avere una vita felice. Adattamento fedele dell’omonimo romanzo di James Baldwin, di cui mantiene in alcuni momenti la presenza di una voce narrante, in originale è “If Beale street could talk”, titolo che cita Beale Street Blues, una blues in 12 battute scritto nel 1916 in onore proprio di quel quartiere mondano e rumoroso di Memphis, luogo di divertimento per gli Afro Americani, luogo in cui negli anni 40 trionferanno le eccitanti chitarre Howlin’ Wolf, Ike Turner e B.B. King. Tuttavia la storia non è ambientata a New Orleans, o in Beale Street, dove sono nati Louis Armstrong e il padre di James Baldwin. È ambientata negli anni ‘70 ad Harlem, New York City.
Fonny e Tish (Stephan James e KiKi Layne), 22 e 19 anni, sono una cosa solo sin dall’infanzia. Prima inseparabili amici, poi amanti e infine perdutamente innamorati l’un dell’altro. I due, non ancora spostati, aspetteranno un bambino che decidono di tenere nonostante le avversioni delle rispettive famiglie. La loro beatitudine va in frantumi quando Fonny viene ingiustamente accusato di aver stuprato una donna portoricana. Tish si troverà presto a subire le violenze di un sistema bigotto e razzista. Jenkins osserva con delicatezza i suoi personaggi reagire alle impossibili crudeltà della vita. L’eleganza della regia che ruota intorno agli sguardi, alle mani che si sfiorano, ai gesti aggraziati dei due protagonisti ci immerge in un’esperienza dove la bellezza giace nel cuore di tutto ciò che vediamo, sentiamo e ascoltiamo.
Il romanzo di Baldwin diventa un pezzo di cinema squisito e impeccabile dove l’intimità è armonizzata nel migliore dei modi con il grandeur. Inoltre, ogni vetta o valle è vissuta sulle note della bellissima colonna sonora di Nicholas Britell. Che sia con il brontolio di un violino lamentoso oppure con la spacconeria di una tromba jazz, il compositore riesca a dare il tono giusto ad ogni scena in modo evocativo e mai melenso. Se la strada potesse parlare è una sussurrata invettiva verso i paese civilizzati che scelgono la ghettizzazione all’accoglienza, la sottomissione all’uguaglianza dei diritti. Una storia d’amore lussuriosamente cinematografica asfissiata da una nuvola sociopolitica, come accadeva in In The Mood For Love di Wong Kar-Wai. Difficilmente ci si può trovare davanti a qualcosa di così esatto sull’amore, sulla sconfitta e sulla successiva rinascita.