La festa della donna ha una storia complessa che si confonde nei tanti episodi di lotta e sacrificio femminile; una gara della memoria che, intrappolata dentro una casella del calendario, ha finito per trasformarsi ormai in uno svilente festino di signore in overdose da appariscenza, così dolorosamente lontane da quelle vittime cadute sul posto di lavoro.
Inizia così Scintille, con la voce fuoricampo di Laura Curino che elenca i tanti 8 marzo della storia, mentre la sua figura invade silenziosa la scena del Teatro Due, che subito ci appare come un Golgota segnato dalle assi incrociate di tre telai della fabbrica newyorkese TWC.
Caterina Maltese, con le figlie Rosa e Lucia, fu assunta alla Triangle Waistshirt Company insieme ad altre seicento donne immigrate italiane e esteuropee: è il 1911, quando il ritmo del pedale della macchina da cucire segna il tempo del lavoro a cottimo, dello sfruttamento subìto ad opera dei boss, di quelle camicie già pregne di speranze abortite.
Con le modulazioni della voce e del gesto a precisare l’identità delle tre donne, Laura Curino diventa allora il testimone di un racconto comune a troppe fette d’umanità in cerca di fortuna che, ieri sull’Atlantico oggi nel Mediterraneo, affidano all’onda la speranza di una nuova vita.
Eppure un tempo c’era anche chi si opponeva a quell’onda, chi credeva in condizioni di lavoro diverse: come Lucia, la figlia ventenne di Caterina, che fece propria la battaglia di un’immigrata russa coinvolta in attività sindacali. E poi quel 25 marzo del 1911, quando un paio di forbici puntate alla gola del boss, cadendo, colpirono una lampada a olio innescando un incendio devastante: The Fire, così è ricordato il giorno nefasto in cui 146 donne scomparirono nell’ombra del fumo o dalla cornice infranta di una finestra.
Così accadde a Lucia e alla piccola Rosa, bambole rotte sul selciato di una strada, lasciando Caterina all’innaturale sopravvivenza di una madre che seppellisce le figlie e torna a lavorare in quella fabbrica perdonata dai giudici, che d’improvviso ci riporta alla mente il destino degli operai dell’Ilva o addirittura di quelli della ThyssenKrupp.
Scintille dunque rappresenta un’occasione ma anche una preghiera: le luci giallo-seppia (disegno luci Tiziano Scali), che proiettano sul fondo i profili evanescenti delle sorelle Maltese, disegnano la necessità del ricordo di chi è partito alla ricerca della vita e ha incontrato la morte; una morte che si fa amaramente utile: dopo quell’incendio, infatti, le condizioni di sicurezza sul lavoro iniziarono un lento cammino di miglioramento, che ancora oggi è in attesa di compimento.
Ecco allora che il finale ci riconsegna un nuovo elenco: nomi che si appoggiano uno all’altro, stremati, traditi, come a scolpire un monumento alla lavoratrice ignota che la regia di Laura Sicignano mostra al pubblico romano, sommergendolo con una pioggia battente di stelle, come in una notte di San Lorenzo senza più desideri da esprimere.
Teatro Due, Roma – 12 febbraio 2015