La bestemmia senza dio
Teatro Rebis porta in scena gli Scarabocchi di maicol&mirco
Rapidi e deformi personaggi neri su fondo rosso uniforme. Facile, no? Si, almeno per quei pochi secondi prima di prendere coscienza di ciò che stai leggendo. E invece, dopo la prima pagina di fumetto, si apre una voragine sotto i piedi, ti ritrovi catapultato in un mondo apparentemente vuoto, popolato solo dei tuoi incubi. E il bello è che riesci a riderne, povero ingenuo. Gli Scarabocchi di maicol&mirco sono questo, apparentemente il titolo non mente. Ma se siamo fatti a Sua immagine, e siamo scarabocchi, non lo sarà pure questo fantomatico Creatore? Subito siamo posti di fronte a noi stessi, inchiodati come lepri nelle trappole consuete, famiglia, affetti, desideri, come se davvero contasse qualcosa ciò che avviene prima del vero grande evento, la morte.
Monologhi e dialoghi nel vuoto, suddivisi in centinaia di episodi dal web alla carta stampata, prendono corpo nello spettacolo omonimo di Andrea Fazzini, il quale, scegliendone alcuni, traduce in scena questo bagaglio di immagini affidandolo a tre attori – Meri Bracalente, Sergio Licatalosi e Fernando Micucci – e una manciata di semplici oggetti, tra cui spicca fredda e minacciosa una lapide tombale.
«Nei fumetti metto solo il necessario, se c’è un albero è perché mi serve. Se invece volete vedere un albero potete andare al parco». E allora il vuoto caustico delle tavole di fumetto si tramuta qui, oltre che nella scenografia scarna, in un’attenzione ben calibrata ai silenzi. Eppure, inanellando in successione le schegge sparse delle singole pagine, lo spettacolo ricostruisce quasi la decostruzione chirurgica di maicol&mirco, restituendo in rapida successione le singole parti – tanto acide e paradossali da farsi improvvisamente realistiche – di quel trattato sull’uomo fatto di disegni e bestemmie che il fumettista marchigiano porta avanti da alcuni anni. Mentre ridiamo.
(Marco Pacella)
Gli scarabocchi rinunciano a una delle basi fondamentali del linguaggio dei fumetti: il tempo. A differenza delle strisce (uno dei generi a cui più prossimamente potrebbero accostarsi) non prevedono una scansione temporale, le battute non sono preparate, le trovi già lì. Essendo tanti pezzi unici potrebbero assomigliare alla vignetta satirica, se non fossero del tutto private di qualsiasi legame con la cronaca, con l’attualità, ancora, con il tempo che chi scrive e chi legge sta condividendo. Personaggi irriconoscibili, larve umane sole con la loro rabbia, la loro depressione, la loro rivolta autodistruttiva, senza vie d’uscita (cfr. RezzaMastrella), congelati in uno sfondo uniforme, dal rosso intenso e tutt’altro che casuale.
L’adattamento teatrale di testi senza personaggi, senza linee narrative, senza una qualsiasi dimensione temporale o spaziale, appariva quindi sulla carta una sfida improba. Forse per questo lo spettacolo della compagnia Teatro Rebis si apre con un lungo silenzio: i tre attori immobili sulla scena, di fronte al pubblico. Quel silenzio è una dichiarazione di vicinanza alla fonte, la rassicurante sensazione di familiarità da offrire agli spettatori, che nella platea di Centrale Preneste erano sicuramente in massima parte lettori affezionati del fumetto.
I tre personaggi, senza nome e quasi senza storia, ricordano i poveri cristi di Ciprì e Maresco. Anche gli scarabocchi sono infatti una riduzione ai minimi termini dell’umano, una spoliazione che lascia nude le debolezze, scoperti i nervi, assoluti il dolore e la rabbia, affioranti in superficie le pulsioni più elementari, brutali, insopprimibili. Manca il grottesco imperante, anzi questi scarabocchi in carne conservano una leggerezza di tratti che incoraggia l’empatia del pubblico.
La scelta di Fazzini è filologica, gli sketch sono legati insieme per giustapposizione tematica, andando a pescare nel vastissimo corpus di “atti unici” è facile isolare e catalogare i temi prediletti del fumettista di Macerata: la difficoltà del vivere insieme,la prossimità della morte,l’orizzonte chiuso di un’esistenza alienata, il sesso come pulsione unica ed egoistica, Dio come guscio vuoto e bersaglio per il lamento e la bestemmia. Le battute arrivano puntuali, piccole esplosioni di humour nero, ghigni disperati, aforismi autolesionisti e crudeli cui il pubblico risponde con partecipazione, ridendo e ripetendo sulla punta delle labbra i passaggi più fulminanti.
Alla fine si scopre che questi scarabocchi – i più bidimensionali possibili tra i prodotti della contemporanea fioritura del fumetto italiano – si trovano perfettamente a loro agio sul palcoscenico, conservano grazie alla loro astrattezza tutta la forza icastica del segno. Non c’è perdita e non c’è tradimento in questa traduzione, nel vuoto senza tempo in cui si muovono i personaggi, su un palcoscenico che è uno squarcio nell’intimità più comune dell’esperienza di tutti, si ride disperatamente.
Un esperimento riuscito di metafisica della risata.
(Giacomo Lamborizo)
Crediti ufficiali:
Teatro Rebis e maicol&mirco
SCARABOCCHI
dai fumetti di maicol&mirco
con Meri Bracalente, Sergio Licatalosi, Fernando Micucci
scenografie Cifone
musiche Maestro MAT64
drammaturgia e regia Andrea Fazzini