Portare in scena un classico non è un’impresa facile. Se poi quel classico si chiama Saul ed è stato scritto in versi da Vittorio Alfieri nel 1782, l’impresa diventa quasi impossibile. La strada che regista e attori si trovano davanti è ricca di ostacoli; primo tra tutti la lingua. L’endecasillabo sciolto, infatti, così ostico e desueto, che riporta alla memoria solamente vecchi incubi scolastici, diventa un enigma da risolvere. Ma non è finita qui, l’altro ostacolo è la storia e il suo protagonista: Saul.
Non ci troviamo di fronte ai soliti classici. Saul non è greco, non nasce da shakespeariane stirpi reali, e la sua storia non si perde nella notte dei tempi; ma proviene dalla Bibbia, precisamente dal Primo libro dei Re. Storie lontane, nascoste nelle sabbie del deserto, sconosciute alla maggioranza e difficili da interpretare. Come rimane incerta la vicenda che muove l’azione della tragedia: la guerra tra Filistei e Israeliti.
Attualizzare questo antico conflitto trasportandolo nelle vicende contemporanee del Medio Oriente potrebbe essere una via d’uscita, un escamotage per rendere affrontabili da un punto di vista drammaturgico e rappresentativo i cinque atti della Tragedia. Stefano Sabelli (regista, scenografo e protagonista) e la Compagnia del Loto hanno intrapreso questa strada portando in scena il Saul, pur rispettando e mantenendo i versi di Alfieri.
Decisione ardita quella di mescolare il passato con il presente che ci rivela un Saul combattuto interiormente, dilaniato da demoni moderni, molto vicino alle passioni che muovono i personaggi shakespeariani. Ma Saul non è Lear e nemmeno Amleto perché la sua pazzia, il daimon che minaccia l’intero popolo d’Israele, proviene direttamente da Dio. Il Dio vendicativo e guerriero del Vecchio Testamento che ha già deciso di mettere David (Giulio Rubinelli) a comando del suo popolo eletto. È proprio questi l’eroe che si contrapporrà al tiranno reso pazzo da Dio, egli diventerà così lo specchio dell’anima malata del potere che non ha altro scopo se non quello di arrivare al trono per rialimentare poi lo stesso meccanismo.
Portare in scena questa tragedia, infatti, induce a riflettere sulla cultura giudaica, aspetto che in parte la messa in scena di Sabelli cerca di sviluppare grazie all’innesto di spunti scenografici sulla cultura ebrea e di canzoni eseguite dal vivo (Trio Miele).
Ma forse è troppo poco per esprimere il senso moderno della tragedia. Tutto rimane insito in una parola: Abba, padre in ebraico antico; tale Abba racchiude in sé la sapienza e l’esperienza di Saul nonché l’ambizione e l’energia di David che gli ebrei stessi vogliono e cercano. Non a caso nelle ultime elezione in Israele è stato riconfermato capo del governo Benjamin Netanyahu leader del Likud partito nazionalista e conservatore.
Un padre padrone, capace di comandare e proteggere, degno emissario in terra del Dio guerriero del Vecchio Testamento che se è necessario è pronto a uccidere per difendere il suo popolo.
Teatro Vascello, Roma – 4 luglio 2015