Sangue del mio sangue – Marco Bellocchio
Il tempo a Bobbio, anche se impercettibilmente, scorre. Non ci si può cullare nell'illusione che qui il tempo non passi. Anche e Bobbio sembra sospeso nel tempo, il tempo scorre anche qui parafrasando questa battuta di un personaggio secondario si potrebbe descrivere Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio: il tempo trascorre anche per Bellocchio, e tra passato e futuro, non è conveniente starsi a disperare ma accettare con brio lo stato delle cose, anzi i tempi delle cose.
Già perché il film presentato in Concorso a Venezia pare fare, usando un eufemismo, una certa confusione tra diversi tempi. Infatti il film può essere diviso in tre diversi tempi che non debbono essere intesi come atti, atti scenici, bensì come veri e propri differenti piani temporali, con sempre sullo sfondo Bobbio, il borgo al confluire di quattro Regioni, crocevia di popoli e di storie.
Il primo tempo è ambientato nella Bobbio del Seicento, in cui, arrivato presso il monastero del paese, Federico, tenta di indagare sul perché il santissimo fratello suo si sia prima suicidato e, a causa di essere sospettato di una relazione impropria con una giovane del paese, seppellito in terra sconsacrata in mezzo ai briganti, ai miscredenti e agli asini. Il secondo piano temporale è ambientato nella Bobbio contemporanea, descritta però, quasi in chiave fumettistica e parodistica, una sorta di pluri-Italia in cui, per oltre trent'anni, la pace sociale è stata garantita grazie a piccoli sotterfugi: l'assenza di fatture, la proliferazioni di patenti di invalidità e altri mezzucci vari. Il terzo, e finale, tempo è settato qualche decennio dopo il primo piano cronologico e, in maniera non del tutto inaspettata, rivela una sorta di piccolo/grande miracolo di provincia.
Non mancano perciò i saltabecchi nel tempo, ma quello che viene a mancare, confermate anche dalle reazioni per lo meno sorprese del pubblico, è un minimo di coesione, anche di stile, che tenga unite le diverse parti. Se l’ambientazione a Bobbio di certo non pare essere una novità per un film di Bellocchio (ormai il piccolo paesino in provincia di Piacenza è set abituale) e neppure il cast scelto (oltre allo stesso figlio Pier Giorgio e a Lidya Liberman anche Alba Rohrwacher e Filippo Timi), sorprendono invece, anzi straniano, alcune trovate, come una seconda parte/tempo tutta virata verso tinte quasi comiche, come quella di portare un simil-vampiro da un dentista che per ovvie ragioni si lamenta che tutti, ormai spaventati a morte dalle tasse, chiedono sempre la fattura.
Insomma di fronte a corpi anziani che si conchiudono nell'illusoria volontà di fermare il tempo, vi sono i giovani corpi di giovani donne che semplicemente si gettano, con fede e coraggio, nell'oceano del tempo, e per questo non vengono toccate dallo sfacelo di tutt'intorno. Forse è proprio questo il miracolo inseguito, e non ancora trovato, da Bellocchio: invecchiare senza per questo sembrare nostalgico o laudator temporis acti.