Run
Un thriller che riflette sulla disgregazione della famiglia, la conseguente perdita dell’identità personale e l’incapacità di adattamento alla società, ben simboleggiata dalla disabilità indotta.
Un elenco di patologie e i relativi significati, e in ultimo la definizione di paralisi, che termina con la parola “run” (= correre). La quale rimane da sola col punto finale, a indicare il titolo del film. Che l’ambito medicale sarà presente lo si evince subito, ma la provocazione insita nel titolo arriva quando la trama si dispiega: Chloe, una ragazza paralitica e asmatica (Kiera Allen), vive con la propria madre Diane (Sarah Paulson) una vita serena per quanto scandita dalle frequenti pastiglie. Un giorno si interroga sulla composizione di una di esse, scoprendo che si tratta di un rilassante muscolare delle gambe, che Diane le somministra da tutta la vita. La menzogna, che copre un terribile segreto, sarà per Chloe una nuova e spaventosa consapevolezza e al contempo un catalizzatore per scoprire tutta la verità. Ed ecco che “run” comprende anche l’accezione provocatoria di “scappare”.
Il film si inserisce a pieno titolo in una delle paure cinematograficamente più diffuse del nuovo millennio: non più qualcosa o qualcuno che dall’esterno minaccia la nostra casa, ma un pericolo insito nella casa stessa. Di più, il thrilling non si appoggia a presenze soprannaturali, ma si annida addirittura nel rapporto familiare, che dovrebbe in realtà rappresentare l’unico vero rifugio; proprio questo sovvertimento rappresenta il perno attorno a cui ruota l’inquietudine del film. Il carattere ambiguo della madre (il viso della Paulson sempre in bilico tra dolcezza e freddezza) e la buona performance fisica della Allen sono i principali fautori dell’atmosfera, insieme ad una fotografia volutamente attenuata (non splende mai il sole fuori); la loro casa è ovviamente isolata in una zona di boschi, a riflesso dell’isolamento sociale ed emotivo della ragazza e della madre.
Il regista Aneesh Chaganty, già regista dei due Searching, realizza una piccola ma efficace storia di affetto familiare che a causa di un estremo egoismo sfocia nella celata dominazione, aggravata dalla disabilità di chi è sottomesso. Imprescindibile il rimando a Misery non deve morire, dominato dalla gigantesca Kathy Bates, dove il legame tra “vittima e carnefice” era il fandom, mentre in Run è – cosa ancora più velenosa – il rapporto madre / figlia. Nonostante la pellicola non brilli nel panorama del thriller-horror familiare, possiede la giusta attitudine a coinvolgere, nonché aggiunge un tassello ad una ormai imperante riflessione sulla disgregazione della famiglia (la figura paterna è inesistente), la conseguente perdita dell’identità personale e l’incapacità di adattamento alla società (ben simboleggiata dalla disabilità indotta).