Jack ha cinque anni. La sua vita è trascorsa, fin dalla nascita, all'interno di una piccola stanza senza finestre di tre metri per tre nella quale è stato rinchiuso, insieme a sua madre, rapita sette anni prima quando aveva diciassette anni e tenuta in cattività. Jack è cresciuto tra le quattro mura, imparando a gioire dei pochi oggetti presenti a cui ha dato un nome proprio: Lampada, Lavandino, Cucchiaio fuso, Lucernario. A collegarli al mondo esterno solo la televisione, finzione bidimensionale a cui non corrisponde alcuna realtà. Mentre Jack vive sereno nell'unica esistenza che conosce, Ma’ (Brie Larson) sopravvive a fatica, schiava di Old Nick (Sean Bridgers), malvagio carceriere che la usa per il suo piacere, lacerata dal passato e dalla sua impossibilità di regalare al figlio la libertà. Meditando una fuga che ponga fine alla sofferenza.
Lenny Abrahamson è regista insolito, autore di alcune commedie fortunate in terra irlandese (Garage vinse il Torino Film Festival 2007) ma ancora poco in Italia (il suo film più noto è Frank con Michael Fassbender). Con Room realizza un piccolo capolavoro di grande forza emotiva. A cavallo tra thriller e dramma psicologico ed esistenziale, il film ci porta all'altezza del piccolo Jack, raccontandoci la sua struggente e meravigliosa infanzia. Con la semplicità e la fantasia di un bambino, Jack impara ad adattarsi a quello che ha, perché mai ha conosciuto qualcosa di diverso. La giornata è scandita dal ritmo essenziale della vita: si mangia, si gioca, si dorme, in stretta simbiosi con Ma’, l'universo affettivo del piccolo Jack, grande protagonista della sua assurda felicità.
Jack, interpretato con radiosa tenerezza e semplicità dal piccolo Jacob Tremblay, sembra non aver bisogno di nulla, se non del calore di sua madre, facendosi bastare l’essenziale, che per lui è la vita intera. A questa profonda provocazione esistenziale, che ci interroga magnificamente, e forse senza nemmeno volerlo, sul superfluo, si sovrappone il ruolo simbolico della Tv, l’unico strumento di connessione con la realtà, racconto mediato dell'irrealtà. La televisione è finzione assoluta per Jack e, paradossalmente, l’unico appiglio alla realtà, che lui stesso non riconosce come tale.
Ad interrompere questo esclusivo ed infinito amore familiare è la triste figura di Old Jack, l’orco paterno che non cerca contatto, se non con la madre. È lui che irrompe puntualmente nella stanza, portando cibo e disturbante piacere carnale, mentre Jack è costretto nell'armadio, difeso dalla brutale e rassegnata violenza che si consuma ogni giorno.
Oltre metà del film subisce la claustrofobia della Stanza, stimolando passione, partecipazione, tenerezza ma anche rabbia, paura e tensione, offrendo allo spettatore un insolito e appassionante thriller dei sentimenti. Dopo profondi momenti di paura e commozione, quando il film potrebbe anche finire, esso si trasforma in un racconto sociale di rieducazione, nel quale la vita vera sembra luccicare molto meno del lurido ma rassicurante tepore della Stanza. Un film da vedere e da premiare.