Robert Doisneau – Paris en libertè
Ieri ho affrontato lo snervante traffico romano e sono andata, da brava ragazzotta squattrinata, ad ammirare la mostra dedicata a Robert Doisneau, approfittando dell’ingresso gratis il primo mercoledì di ogni mese. Una fila di saccocce altrettanto vuote era lì sulla scalinata di Palazzo delle Esposizioni. L’aria era rarefatta dalla trepidante attesa. Tutti parlottavano con atteggiamento intellettualoide. Gruppi di ragazzi under-enta con a spalla sporte di canapa. Vuote. Ma le pose suggerivano un qualcosa di familiare, come se i riti di finzione volutamente lasciassero trasparire lo stesso identico messaggio: sta società mi ha costretto ad uscire prima dall’università, a smontare anzitempo dal lavoro, a varcare l’uscio di casa proprio oggi che ho un ciclo emorragico giusto per risparmiare quei 7 euro di ingresso e sbattermi in faccia che non sono il solo in questa condizione!.
Chissà cosa ne avrebbe pensato Robert Doisneau… ci avrebbe forse immortalati, sudati e sorridenti con alle spalle una splendida via romana? Quello che rimane certo è che le foto di Doisneau hanno un minimo comun denominatore: Parigi. Il lasso di tempo di riferimento è quanto mai ampio, dal 1934 al 1991, anni in cui tutto si è evoluto ma la capitale francese è rimasta uno scenario ancora in grado di stupire. Una Parigi che viene vissuta in senso pieno dai protagonisti delle foto, dove le loro vite si consumano tra ponti romantici, bistrot, atelier, osterie e quegli ampi edifici dall’aspetto gotico.
Doisneau si pone, rispetto a ciò che sta per immortalare, come un osservatore estasiato dal bagliore quotidiano; come un uomo in grado di meravigliarsi dei piccoli gesti, delle piccole scene di ordinaria follia che gli si parano innanzi. La potenza delle sue foto sta proprio in questo: nell’incanto. I soggetti non sono mai decontestualizzati. Sia che si tratti di scrittori illustri, o di famose attrici o di persone comuni, tutti non sono fotografati mai fuori dal loro habitat. Dunque la situazione sembra prevalere, soppiantare per forza espressiva l’individuo o gli individui rappresentati. Seppure questi fanno parte della scena, e sicuramente contribuiscono ad alimentarne la carica emozionale, la personalità fuoriesce prevalentemente dall’ambientazione.
Grande merito di Doisneau è quello di aver restituito alle persone di tutti i giorni il compito di essere storia, di possedere un, magari inconsapevole, valore documentaristico. Infine parole benevole devono essere spese per l’allestimento. La scelta della direzione è stata di non seguire, nella disposizione delle opere, un ordine cronologico ma semmai tematico (comunque molto confusionale). Questa mescolanza, priva anche di un percorso guidato, ha il pregio di trasmettere allo spettatore un senso ludico, dato che potrà scegliere dove preferisce soffermarsi prima, indirizzato solo dal suo stesso entusiasmo.
Insomma, nonostante la goliardia amara del lungo serpentone all’ingresso, questo pomeriggio mostrarolo mi ha proprio soddisfatta. Adesso non mi rimane che tornare a casa, con la saccoccia sempre a secco ma con una sinapsi in più.