Revenge
Un ottimo Rape&Revenge, un dito medio imbrattato di sangue e con smalto rosa ad ogni pensiero sessista.
Per il suo esordio nel lungometraggio, la regista Coralie Fargeat sceglie con giustizia di confrontarsi con il Rape&Revenge, glorioso sottogenere del Cinema di Exploitation dalla narrazione conservatrice e convenzionale (prima la violenza, poi la rinascita e infine la vendetta), senza sovvertirlo nella formula ma raccontandolo da un’inedita prospettiva ostentatamente femminile, interessata più che all’atto dello stupro di per sé a ciò che l’ha provocata e alla successiva trasformazione della vittima. Revenge (2017) è un debutto potente e sfacciato, una parabola sull’ Empowerment femminile dove l’iconografia misogina del genere viene portata fino al punto di massima ebollizione per poi essere condannata.
Conoscendo bene le patetiche e ignoranti fantasie erotiche maschili, la regista presenta di proposito Jen (Matilda Lutz), l’eroina della storia, come un’eccitante macchina da fottere con tanto di lecca-lecca sempre in bocca e dandole più inquadrature al sedere che battute. Sempre vestita con abiti succinti o in slip e bikini, Jen è felice nel soddisfare sessualmente Richard (Kevin Janssens), ricco uomo sposato con cui ha una relazione clandestina. I due alloggiano in una villa nel bel mezzo del deserto dove la ragazza approfitta dei lussi che l’amante è in grado di darle. Due soci e compagni di caccia dell’uomo arrivano all’improvviso carichi di fucili e munizioni. Il gruppo trascorrerà insieme una notte tra balli, cibo e alcolici. Al mattino seguente, con Richard lontano da casa, Jen verrà violentata da uno degli ospiti. L’estetica selvaggia di Coralie Fargeat vince sulle regole di messa in scena del filone: lo stupro rimane fuoricampo. La regista stacca sull’altro uomo presente in casa. Lo vediamo mangia, alzare l’audio del televisore per coprire le urla di dolore della ragazza e poi prepararsi per un tuffo in piscina. Una narrazione visiva attenta e viscerale. Richard perdona il gesto dell’amico e quando Jen minaccia di dire tutto a sua moglie, la getta da una rupe. Prima la violenza, poi la rinascita e infine la vendetta.
Revenge non è niente che non sia stato già visto. Sadico ed esagerato, il film rievoca per violenza grafica e per il litri di sangue presenti la New French Extremity degli anni 2000 e in particolare Baise-Moi (2000) delle registe Virginie Despentes e Coralie Trinh Thi anche esso un Rape & Ravenge femminista, ma con una messa in scena meno elegante e virtuosa. Le uccisione e i soprusi vengono esasperati, gettati in faccia allo spettatore con tutta la loro assurda crudezza e non c’è spazio per approfondire i pochi personaggi del film, concepiti tutti come delle caricature ben disegnate e destinate ad essere ridotte a carne da macello.
Sorvolando su alcune ingenuità e debolezze da primo film, Coralie Fargeat rimane una straordinaria nuova voce che come altre registe affermate negli ultimi anni (basti pensare a Julia Ducournau di Raw oppure ad Ana Lily Amirpour di A Girl Walks Home Alone at Night) potrebbe far parte di un’immaginaria e gradita Accademia di Venere del cinema di genere per insegnare a testa alta, anche a molti colleghi maschi molto più titolati, il mestiere di sconvolgere e terrorizzare.