Rembering The Artist Robert De Niro, Sr. – Perri Peltz, Geeta Gandbhir
Quando si tratta di Robert De Niro, si può abusare (con toni da romantico fanzinaro) del termine genio. Se poi l’occasione è l’anteprima europea del documentario sul genio figurativo incompreso, quale è Robert De Niro senior (colui che ha messo al mondo l’essenza dell’attore fatta carne), allora l’abuso diventa d’obbligo. Peccato che la cornice dell’evento sia stata scelta pensando più a quel minuscolo spazio vitale in cui vive un altro genio, quello della lampada di Aladino.
Poco Male, verrebbe da dire, considerando la schizofrenia del pubblico accorso e la dimensione di intimità necessaria per la tipologia dell’evento. Il piccolo auditorium del MAXXI di Roma è una sala (quantomeno) concettualmente adatta per conversare di arte figurativa del secondo dopoguerra e di cinema con un simpatico settantunenne, che tra le inconfondibili rughe del volto nasconde le maschere di Travis Bickle (Taxi Driver), Jake La Motta (Toro Scatenato) e Max Cady (Cape Fear). Quelle maschere però, almeno per la proiezione di Rembering The Artist Robert De Niro, Sr., vanno accantonate.
Nei quaranta minuti del documentario di Perri Peltz e Geeta Gandbhir, prodotto da HBO (in onda su SKY Arte il 28 dicembre), è inevitabile non restare rapiti dalla storia del De Niro-padre e dalla commozione che taglia lo schermo, disegnandosi su un volto come quello del figlio, abituato ad esibire ben altre smorfie. La vicenda umana che gli album di famiglia, i critici d’arte e i familiari commentano è degna, neanche a dirlo, di un soggetto cinematografico: Robert De Niro Sr. dipingeva, per passione e, sopratutto, per bisogno. Un bisogno, un’ambizione tale da spingersi fino a incrociare i mostri sacri dell’arte statunitense del secondo dopoguerra, dall’Espressionismo Astratto fino alla Pop Art, da Pollock a Rothko, fino Andy Wahrol.
Le immagini del film restituiscono emozioni private: dalla prima scuola d’arte frequentata a New York (quella di Hans Hoffmann), dove De Niro Sr. incontrò sua moglie, fino alla prima esposizione (ottenuta grazie alla talent scout Peggy Guggenheim); dalla separazione poco dopo la nascita di Bobby, all’omosessualità vissuta come travaglio dello spirito e raccontata solo dalle pagine dei diari; dalla ricerca continua e frustrante dell’affermazione artistica, solo assaporata, ai viaggi a Parigi dove il figlio ormai attore affermato, cercò di sostenerlo, come in un gioco di specchi, proprio come un padre farebbe col figlio; fino alla malattia e alla morte, nel 1993.
L’intenzione di Robert De Niro jr. è quella di espiare una colpa, un peso lacerante (quello di non aver spinto e aiutato il padre a curarsi dal tumore alla prostrata), che lo ha condotto a questa battaglia artistica di risarcimento, per il riconoscimento dell’elevato talento pittorico del padre, di cui intende preservare la memoria per sé, per i suoi figli e, attraverso il documentario che sarà presentato in tutto il mondo, per la Storia.
Il breve incontro moderato da Mario Sesti – seguito alla proiezione oltre a svelare il prossimo impegno di De Niro (ancora una commedia diretta da David O. Russel, accanto a Jennifer Lawrence, con buona pace dei nostalgici) ha confermato quanto visto sullo schermo: l’attore è apparso cordiale, ma serio, sincero e lucido come gli occhi inumiditi dall’emozione. Per una volta niente personaggi da interpretare, solo qualche pennellata, per non dimenticare.