Reality – Quentin Dupieux
Un regista chiede al proiezionista di fermare la proiezione dl suo film horror, non ancora finito, perchè vuole rifare la traccia audio. Una bambina tra le viscere di un cinghiale che suo padre uccide giura di aver visto una VHS. Un preside di una scuola elementare racconta alla sua terapeuta di un sogno in cui vagava vestito da donna su una jeep militare. La bambina recupera la videocassetta insanguinata dalla spazzatura e guarda il filmato già in corso. In nome di quella bambina è proprio Reality; su un altro piano un goffo presentatore scopre di aver un eczema, guarda caso all’interno del cervello. Ad un certo punto il regista si sveglia, non sappiamo a che livello di narrazione e non lo sa nemmeno lui. Lui c'è, il film c'è (stato).
Una vicenda surreale, di difficile interpretazione soprattutto perchè estremamente caotica. Viaggio agghiacciante nel cortocircuito realtà/finzione e vita/cinema. Tutto procede inesorabile con una soluzione di continuità che sorprende e stupisce. Le storie come le vite si intrecciano l'una con l'altra nel vortice di uno strano destino a specchio in cui tutto è provvisoriamente dato e nulla spiegato. La assoluta e continua decontestualizzazione del riso dei precedenti Wrong e Wrong Cops momenti forti del precedente Dupieux si perde a favore di una messa in scena a specchi di matrice forse vagamente lynchiana.
I continui rimandi e gli eccessi metacinematografici di Dupieux si stratificano all’infinito, facendo perdere qualsiasi coordinata allo spettatore, ma allo stesso momento anche molta forza espressiva. Reality senza dubbio rimane un giocattolo interessante, ma pare fermarsi lì. Scivola senza nessuno shock apparente, mettendo in mostra una serie continua di teorie ed autocitazione che finiscono a renderlo solo una chicca per i suoi fedelissimi.