Una prima occhiata al programma della Berlinale 2019 mostra l’elevato numero di registe in competizione. Sono sette in tutto e oltre al nome di Agnès Varda, ci sono anche quello della spagnola Isabel Coixet con Elisa y Marcela (presente l’anno scorso, nella sezione Berlinale Special Gala con The Bookshop), della macedone Teona Strugar Mitevska con God Exists, Her Name Is Petrunya, della polacca Agnieszka Holland con Mr. Jones. Tra queste, anche la regista austriaca Marie Kreutzer con il suo ultimo film The Ground Beneath My Feet che racconta la sottile linea che separa ordine e caos, stabilità e squilibrio. Lola (Valerie Pachner) è una giovane manager in carriera sempre in tailleur e tacchi, con una ventiquattrore come ombra, accumula ore di lavoro e perde chili dedicandosi a una costante attività fisica. Dietro questa facciata di perfezione si nasconde il suo segreto: Conny (Pia Hierzegger), la sorella malata di mente che Lola finge di non avere. Sembrano una la controparte dell’altra, ma quanto la paranoia è distante dall’ossessione per il lavoro? La regista prova a raccontare questo labile confine e come il mondo equilibrato di Lola vacilla dopo il tentato suicidio di Conny. Lo fa con un tono pacato che segue lo stato psicologico della sua protagonista, con una calma quasi snervate che nasconde piccoli ma profondi terremoti emotivi. The Ground Beneath My Feet è un’esplosione trattenuta di cui si apprezza, più che il confronto fra le due sorelle – kosmos e kaos – soprattutto lo sguardo femminile su un mondo del lavoro spietato e ancora piuttosto maschilista dove le donne devono scendere sul ring a combattere con tutte le loro forze fino ad arrivare a prosciugarsi.
In concorso è presente anche il norvegese Hans Petter Moland con Out Stealing Horses tratto dall’omonimo romanzo di Per Petterson. Il millennio si avvicina: è il 1999 e Trond Sander (Stellan Skarsgard) si è ritirato in un piccolo paesino norvegese. Una notte incontra Lars, una vecchia conoscenza che lo riporta indietro al suo passato, a quella lontana estate del 1948 trascorsa in mezzo alla natura insieme al padre (Tobias Santelmann). Hans Petter Moland dirige una sorta di saga familiare tra memorie di un tempo e un presente solitario, con un intersecarsi di flashback richiamati alla mente attraverso gesti o suoni. Proprio il sonoro riempie di vita questa storia, un’orchestra in cui si fondono i rumori naturali di piante e animali con quelli creati dall’uomo con il lavoro manuale sulla natura stessa.
Fruscio di foglie e colpi di accetta sul legno, frullio d’ali di un gufo e rimbombo di un fucile per un’immersione sensoriale nel paesaggio nordico e nel passato di Trond, interpretato, da ragazzo, da Jon Ranes. Mentre il sonoro cattura e affascina, il montaggio costruisce parallelismi tra l’uomo e gli animali laddove la fragilità della vita di una lepre uccisa da un cacciatore è simile a quella di un bambino vittima di un gioco finito male. Gli scrittori e i cineasti scandinavi hanno un modo tutto loro di raccontare la tragedia, in maniera tanto schietta quanto poetica, come dimostra anche Out Stealing Horses.